Prologo

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Quattro anni prima

Diciotto anni.

Avrebbe dovuto essere il compleanno più importante della sua vita, quello che segna l'ingresso nell'età adulta. Eppure James in quel giorno, in quell'esatto momento, mentre era in piedi al centro della stanza in cui aveva sempre vissuto da che ne aveva memoria, si sentiva spaventato e disperato, con l'unico desiderio di accucciarsi in un angolo e piangere.

Tutti i ragazzi desiderano arrivare a quel traguardo, e invece lui avrebbe voluto tornare indietro a quando era un bambino ancora incosciente di se stesso e della sua natura, in quegli anni in cui poteva ancora abbracciare sua madre e non sentire su di sé lo sguardo triste della donna o quello disgustato e deluso del padre.

Era tutto così semplice quando non sapevo chi ero.

Incrociò le braccia sul torace come a volersi abbracciare, percependo il suo stesso corpo tremare per la paura e l'incognita della vita che da quel momento in poi avrebbe dovuto affrontare da solo.

Anche se, in realtà, lo era sempre stato.

Vivere in una cittadina della provincia americana, senza fratelli o sorelle, con un padre rigido quanto il marmo, autoritario e freddo con lui e con la moglie, non lo aveva aiutato affatto. James aveva trascorso l'intera adolescenza senza alcun reale supporto, anche quando aveva subìto le angherie dei compagni di scuola. Con il suo fisico mingherlino era stato la preda perfetta dei bulli, e il non essere mai riuscito a celare la sua natura aveva solo peggiorato la situazione.

Eppure, James non aveva mai fatto nulla per nascondersi. Era l'unica cosa di cui era certo di quei primi diciotto anni della sua vita: era gay, del tutto e senza alcun dubbio.

Scrutò la stanza che forse non avrebbe più rivisto per il resto dei suoi giorni, soffermandosi su un poster di Freddy Mercury e uno di Lady Gaga, cantanti così diversi in tutto, nei quali James aveva sempre visto la stessa tenacia nel voler essere al di fuori degli schemi. Sospirò nell'osservare una stampa di un quadro di Magritte, Gli Amanti, uno di quei dipinti al quale si sentiva legato in particolar modo. Quei panni bianchi che coprivano due volti nell'atto di baciarsi rappresentavano il velo che tutti, dai genitori agli amici e persino quei pochissimi ragazzi con cui aveva scambiato effusioni o fatto le sue prime esperienze, avrebbero sempre voluto indossasse anche lui.

Ma James non era come loro, non assomigliava a nessuno dei coetanei di quella cittadina, nemmeno a quei pochi che avevano le sue stesse inclinazioni.

Lui era libero nell'anima, e tale voleva rimanere.

«Forza... è arrivato il momento,» sussurrò a se stesso, guardando per l'ultima volta quelle mura in cui era cresciuto.

Prese un grosso zaino, uno di quelli che suo padre gli aveva regalato per andare in campeggio con la scuola qualche anno prima, e se lo caricò sulle spalle uscendo dalla camera per scendere le scale fino alla soglia del salotto.

«James... sei sicuro?»

La voce sottile di sua madre gli spaccò il cuore e avrebbe voluto urlarle che no, non lo era affatto, ma che scelta aveva?

«Sì, mamma...» le rispose, con il tono più fermo possibile.

«Lascialo andare, Margaret. Ha preso la sua decisione!»

«Leopold... non puoi ripensarci?»

James percepì il battito cardiaco accelerare nel sentire sua madre per una volta cercare di intervenire in suo favore, ma lo sguardo freddo dell'uomo seduto in poltrona e il silenzio pesante che avvolse il salotto gli fece capire che nulla sarebbe cambiato. Suo padre gli aveva dato un ultimatum: rinnegare la sua omosessualità o andarsene di casa. Forse l'uomo aveva sperato che James scegliesse la prima ipotesi, spinto dalla totale mancanza di fondi per accedere da solo a un qualsiasi college, ma rinunciare a se stesso era qualcosa che non sarebbe mai riuscito a fare.

«Io vado, allora,» mormorò, quando il silenzio nella stanza divenne troppo pesante da sostenere.

Nessuna risposta, solo lo sguardo basso e le spalle cadenti di sua madre seduta sul divano, e quello indifferente di suo padre, che riprese a leggere il giornale come se fosse un giorno qualunque e non quello in cui avrebbe forse visto il figlio per l'ultima volta.

James annuì, rassegnato a quel silenzio come ultimo saluto e, senza aggiungere altro, percorse il corridoio fino alla porta d'ingresso, uscì sul vialetto di casa e mise i piedi uno davanti all'altro sentendosi come un sonnambulo che cammina in uno stato di trance fino a quando non si ritrovò sul marciapiede in direzione della stazione degli autobus.

Con in tasca quei pochi soldi racimolati dopo aver venduto cd, libri, videogiochi e anche persino il suo telefono, si mise in fila per fare un biglietto con il cuore che batteva forte e una sensazione di stordimento che per un attimo gli appannò la vista.

«Dove devi andare, ragazzo?»

James guardò la donna seduta dietro il vetro della biglietteria, sbattendo le palpebre come se non avesse compreso la domanda. Non sapeva nemmeno quale direzione avrebbe dovuto prendere la sua vita da quel momento in poi, e meno che mai aveva riflettuto su dove andare una volta uscito di casa.

«Dove arrivo con questi soldi?» le chiese, mostrandole il denaro che aveva deciso di spendere per il viaggio in modo da conservarne almeno la metà per mangiare qualche giorno, con la speranza di riuscire a trovare presto un qualsiasi lavoretto per sostenersi.

«Con questi puoi arrivare anche a New York.»

«E allora, un biglietto per New York, per favore... sola andata.»

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