Tutta colpa del destino

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Perché è così che ti frega la vita. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine o un odore o un suono che poi non te lo toglie più.

"Din, din, din"
Il suono della sveglia arrivò dritto come un fulmine a ciel sereno ad interrompere, come ogni mattina alle 6.45, il mio sonno.
Sbuffai e a tentoni sbattendo la mano ovunque sul comodino, ancora con gli occhi chiusi, cercai di spegnere quel dannato aggeggio che senza nessuna pietà continuava a suonare per costringermi ad abbandonare la comodità del letto e iniziare una nuova giornata.
Quando finalmente riuscii a farla tacere mi tirai a sedere e presi il cellulare, che mi aveva appena avvertito con una notifica dell'arrivo di un messaggio.
Sorrisi spontaneamente nel leggere il mittente; Miranda, la mia migliore amica.
<< Buongiorno dormigliona, ti sei alzata o devo iniziare a chiamarti per non farti far tardi come tuo solito al corso? >>
Alzai gli occhi al cielo, ok ero sempre in ritardo, combina guai e con la testa tra le nuvole, troppo a volte, però stava esagerando.
Risposi al messaggio prima che iniziasse a tempestarmi di telefonate mentre mi avviavo in cucina per prendere il mio amato caffè.
<< Non temere, la sveglia questa mattina è stata meno clemente di te e mi ha già strappato dal mondo dei sogni! Ci sentiamo più tardi quando esco dal corso rompiscatole. E comunque buongiorno >>
Sorrisi di nuovo mentre riponevo la tazza nel lavandino e andavo in bagno per iniziare a prepararmi.
Guardai verso lo specchio, che rimandava un'immagine di me stessa, con gli occhi ancora gonfi dal sonno e i capelli arruffati. Mi diedi una sistemata e mi lavai, dopodiché tornai in stanza per vestirmi.
Erano le 7.30, e esattamente tra un'ora e mezza mi sarei dovuta trovare in pieno centro città per prendere parte al corso che la mia Accademia aveva organizzato.
Seguivo un'accademia di fotografia, che era stata la mia passione fin da quando ero una bambina. Nulla poteva fermarmi dal fotografare quello che mi circondava, penso che la fotografia sia una forma d'arte. E oltre a questo ti permette di fermare degli attimi che rimarranno eterni, non importa se le persone cambiano, se ne vanno o si perdono, dentro quelle foto, in quell'attimo diventato eternità, tutto rimarrà uguale, immune del passare del tempo.
Guardai attraverso le persiane ancora chiuse della stanza una Istanbul che si stava pian piano svegliando anche lei, con i suoi mille colori e rumori che lentamente prendevano di nuovo vita. Amavo quella città, nonostante mi fossi trasferita per inseguire i miei sogni.
Infatti sono un miscuglio di etnie, mio padre è inglese, mentre mia madre è italiana. Si sono conosciuti quando mio padre venne in Italia per lavoro, e da allora non si lasciarono più.
Io passai la vita tra l'Italia,dove andavo d'estate,più precisamente a Firenze, e l'Inghilterra, Londra dove trascorsi l'infanzia e l'adolescenza; fino a quando, 3 anni prima non seppi che ad Istambul avevano aperto questa prestigiosa Accademia di fotografia, e quindi mi trasferii qui, assieme alla mia migliore amica, per inseguire il mio sogno di diventare una fotografa di grande fama.
Dopo essermi messa un pantaloncino corto e una camicetta leggera, era primavera inoltrata e iniziava davvero a fare parecchio caldo, presi la borsa e la cartella dove tenevo gli appunti del corso e mi avviai verso la porta.
Le 8.10.
Avrei dovuto prendere un autobus e fare un pezzettino di strada a piedi prima di arrivare in Accademia, d'altronde vivendo non in centro città i tempi di percorrenza erano un po' più lunghi.
Una volta preso il bus, affollato già di prima mattina di gente che con la testa affondata nei telefonini o sui quotidiani andava al lavoro, mi sedetti perdendomi con lo sguardo tra i passanti.
Dopo circa 25 minuti arrivammo alla mia fermata, erano le 8.50, e se non mi fossi sbrigata non sarei mai arrivata in tempo.
Come al solito, direbbe Miranda.
Iniziai a camminare sempre più veloce, rendendomi conto che non potevo permettermi di arrivare in ritardo anche quel giorno, o il professore mi avrebbe veramente cacciato dall'aula, per poi ritrovarmi a correre cercando di schivare le persone senza fare filotto e non capitombolare a terra.
Ero quasi arrivata quando non mi accorsi di una signora che stava passando vicino a me con le borse della spesa appena fatta. La scontrai e voltandomi per domandarle scusa, in un turco che ancora dopo anni faticavo a masticare, mi sentii impattare contro qualcosa che si trovava proprio di fronte a me.
Senza rendermene conto mi ritrovai distesa a terra a pochi passi dalla signora di poco prima, che mi guardava preoccupata visto la botta che avevo appena preso.
Non sapendo dove guardare, con il viso infuocato per la vergogna, mi tirai a sedere tenendomi una mano sulla schiena.
Allungai una mano per prendere la borsa, anch'essa volata a terra poco distante da me, quando fui anticipata da qualcuno che la raccolse e mi tese una mano.
Istintivamente la presi e mi tirai in piedi, notando il sorriso della persona che mi aveva aiutata ad alzarmi.
<< Spero che non ti sia fatta male, perché dal colpo che hai preso contro di me direi che hai dato proprio una bella botta in terra >>
Rise ancora passandosi una mano tra i capelli, raccolti in un codino, mentre con l'altra si risistemava gli occhiali da sole.
Vorrei sapere cosa ci trova di tanto divertente questo a vedere una ragazza capitombolare per terra.
Tolsi la mano dalla sua e mi diedi una sbattuta ai pantaloni prendendo la borsa dalle sue mani.
<< Non mi sono fatta nulla, grazie per avermi aiutata ma ora mi scusi devo proprio andare >>
Guardai l'orologio, le 9.10, perfetto anche oggi sarei arrivata in ritardo.
Feci per andare ma sentii sempre il solito ragazzo chiamarmi, che voleva ancora?
Mi voltai e vidi che reggeva ancora tra le mani la cartella con dentro gli appunti.
<< direi che ti serve anche questa >> mi disse di nuovo sorridendo di sottecchi.
Sbuffai tornando indietro, e nel mentre lo guardai meglio.
Era sicuramente un bel ragazzo, alto molto più di me, considerato che io ero un metro e un tappo, lui sarà stato sul 1.90, muscoloso, occhi color marrone scuro, e una barba che incorniciava perfettamente il suo viso.
Quando notò che lo stavo fissando sorrise ancora di più e si sporse quasi ad aspettare che gli dicessi qualcosa.
<< ancora grazie e arriver.. >>
Non riuscii a finire la frase che una donna con uno chignon perfetto e un completo nero arrivò di corsa dietro il ragazzo.
<< Can per l'amor del cielo vuoi sbrigarti? Il produttore sta per avere un infarto se non finite prima di oggi pomeriggio >>
Guardai prima lei e poi lui, che si girò appoggiando una mano sulla spalla della donna per rassicurarla.
<< Arrivo subito, non preoccupatevi sono solo le 9! >>
Dicendo quello si voltò e facendomi un cenno con la mano, seguito da un occhiolino, seguì la donna dall'altro lato della piazza, dove c'era un gruppo di persone indaffarate a fare non so cosa.
Guardai ancora per un attimo nella loro direzione e poi mi avviai verso l'entrata dell'Accademia.
Erano le 9.30, mezz'ora di ritardo.
Tutta colpa della mia sbadataggine.
Tutta colpa di quel ragazzo, bello, intrigante ma anche un po' presuntuoso che chissà come mi era rimasto nella mente.
Tutta colpa del destino.

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Eccoci qui con la fine del primo capitolo.
Spero che vi sia piaciuto, e se così fosse sarei molto felice di sapere i vostri pareri, quindi se vi va lasciatemi una vostra opinione, una stellina o comunque qualche consiglio.
Ci risentiamo in settimana con la prosecuzione della storia.
Un bacio ❤️

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