Il corollario del topo

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Quando mi svegliai Emily stava seduta per terra con un grosso tomo in mano. La guardai perplessa: non pensavo le piacesse leggere. Evidentemente non ero l'unica a portare una maschera a scuola.

«Che libro è?» chiesi perplessa. Lei alzò gli occhi e mi sorrise.

«Quando si dice il destino! Avevo iniziato questo libro a casa» aggiunse mostrandomi la copertina. Anche mio fratello era pazzo per quella storia. Avevo provato a iniziarlo, era scritto molto bene, ma non era il mio genere. Mi perdevo in tutte quelle descrizioni di luoghi e personaggi e miti. Se non altro, qualcosa del nostro secolo era sopravvissuto fino 3047.

Lasciai Emily alla sua lettura e mi avvicinai alla stanza matrimoniale. La porta era ancora chiusa e si sentiva un vociare sommesso. Una parte di me avrebbe voluto essere là dentro, anche se sospettavo di non essere utile in alcuna misura, avrei desiderato poter dare un'altra occhiata a quel codice. In fondo, avevo solo avuto fortuna con quel meno. Come ogni principiante... Non è così che dicono?

«Cosa sarebbe il corollario del topo?» la voce della professoressa mi giunse più squillante del resto. Mi concentrai sui suoni trattenendo il respiro.

«Ho visto il filmato coi miei occhi. Non ho mai capito perché, ma funziona così» la voce di Adrian rispose.

«Funziona come?» insistette la prof.

«Un topo entra nella macchina e spedito avanti nel tempo. Gli viene praticata una piccola ferita su una gamba e lo rimandano indietro a prima che entrasse nella breccia: il taglio sparisce» spiegò Sven con fare teatrale. Pensai di aver sentito male.

«Non mi piace l'idea di tornare sotto a una caldaia che sta per esplodere» confessò la Damiani sospirando a fondo.

«Se vuoi salvarla è l'unica possibilità» disse Adrian. Rimasi senza fiato a quella precisazione.

«Dovete solo trovare una via d'uscita diversa da quella che avete già preso. Ho una cartina della centrale» suggerì Sven.

Solo allora mi accorsi che un paio di occhi scuri mi fissavano dall'oscurità della stanza accanto. Maggie era seduta sul letto. Mi avvicinai a lei.

«Si sente qualcosa?» sussurrò. Non sapevo cosa dirle.

«Non molto» preferii una mezza verità. «Come stai?» le chiesi sdraiandomi in fondo al letto a pancia su. Quella posizione mi consentiva di rilassare la spalla.

«Quel cerotto è davvero magico, me ne hanno messi tre. Sto meglio ora, mi è anche tornata fame!». La vedevo molto più attiva in effetti, seppure muoversi le procurasse dolore. Scattai verso il salotto ignorando la fitta alla spalla. Non volevo passare per quella che non sopporta il dolore: ci mancava anche Sven, già mia madre mi tediava sempre su questo punto. Le sue parole risuonarono nella mia testa. Sospirai a fondo, recuperai le barrette e tornai da Maggie. Questa parte della mia vita nel 1996 non mi mancava affatto: quella in cui mi madre mi urlava dietro, tutto il giorno, come un disco.

Lanciai una barretta a Maggie e mi stesi nuovamente; lei si mise a mangiare soddisfatta. Nonostante fossero dietetiche, come appuntato da Daniele, io non le trovavo così malvage. In realtà, quando avevo fame ero capace di mangiare senza farmi troppi problemi di gusto.

«Posso farti una domanda?» chiese Maggie mentre scartava un'altra porzione di barretta. La invitai a continuare. «Perché sei ancora in quel banco?» Era una domanda da cento milioni di dollari. «Dopo quello che hanno fatto col bigliettino, io non le saluterei nemmeno» commentò tagliante Maggie. Si riferiva ovviamente al mio messaggio per Daniele.

«Sono stata io a chiedere a Valentina di portarglielo.»

«Una vera amica ti avrebbe fermato.»

«Ha cercato di farlo, te lo assicuro, ma mi piace rovinarmi con le mie stesse mani!»

I ragazzi senza futuro [Revisionato]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora