(Com'è terribile.)
Al crepuscolo dell'estate, si svolge la raccolta della soia. Nel villaggio natale di mia madre, vigeva una tradizione: era necessario organizzare le nozze dopo il raccolto poiché se esso fosse stato abbondante, significava che il destino era in favore degli sposi e di conseguenza la vita matrimoniale si sarebbe svolta nella felicità e armonia. Purtroppo, nell'anno in cui miei genitori si recarono all'altare, le piantagioni furono attaccate da un epidemia parassitaria e il paesino di contadini subì un periodo di forte crisi economica.
Mio padre non era di quelle parti, veniva dalla città che persino a quei tempi beneficiava di una mentalità all'avanguardia e poco incline al fascino delle superstizioni, a differenza della campagna. Forse è proprio per questo che al buon auspicio del raccolto lui non credeva. Convinse mia madre ad infrangere l'usanza e a sposarsi nonostante lei fosse restia. Lui però non poteva permettersi di pazientare ancora a lungo date le circostanze che tessevano la loro unione.
I miei genitori si frequentavano da poco tempo, erano più amici di letto che altro.
Quando la mamma fu presentata alla famiglia del compagno, il suo grembo era già gonfio e tondo come un'anguria. Zia Haeun mi rivelò d'esser stato concepito ad una festa universitaria, per merito di un errore di calcolo ed un divano verde bottiglia. A primo impatto i parenti furono assai sorpresi però ci volle poco per accettare l'idea. Da entrambe le parti si esigé una cerimonia per non provocare dicerie e per assicurare un nucleo familiare stabile al piccolo me. Ma, in seguito, capii che per mio padre quelli non erano altro che pretesti utili a nascondere un segreto di cui solo lui era a conoscenza.Ci trasferimmo a Changwon subito dopo le vacanze estive, durante i miei primi anni non vedevo spesso i miei dato che ciascuno dei due scelse di proseguire gli studi. Abitavamo nella villa dei suoi genitori e quindi passavo molto tempo con la sorella minore di mio padre, Haeun, e la sua migliore amica nonché vicina di casa, Jin Ha.
Dopo pochi mesi dal nostro arrivo, Jin Ha annunciò di aver lasciato il liceo e di essersi fidanzata con un uomo ben più anziano di lei. La sua famiglia non riusciva a spiegarsi dell'accaduto e neanche la nostra. Ogni giorno, a turno, i suoi venivano a metterci a conoscenza delle proprie preoccupazioni riguardo al futuro marito della ragazza. Il signore dirigeva una fabbrica di metalli pesanti ed era tanto benestante quanto occupato. Acquistò alla sua giovane amante una residenza nel nostro quartiere in modo di non farla sentire troppo sola durante i suoi lunghi viaggi intercontinentali.
Jin Ha non parlava mai di lui, quasi dimenticava che esistesse. In inverno diede alla luce un bambino che chiamò Mingyu. Dire che l'ho visto nascere non è un'iperbole ma la verità. Ella espresse un desiderio davanti alla telecamera di mio padre che si era ripromesso di documentare gli arbori della vita del neonato. Desiderava che io e suo figlio fossimo uniti come due fratelli. Come lo erano stati lei e mio padre, aggiunse. Abbiamo finito per deluderla.
Mia madre non sopportava Jin Ha e vice versa, da infante non capivo il perché. Io non sopporto Mingyu e vice versa, loro ancora non capiscono il perché.
Forse l'astio che coltiviamo prende le sue radici dalla rivalità tra le nostre mamme, si è insidiato nelle nostre carni e scorre nel nostro sangue, ci forgia. Eppure non riusciamo a liberarci gli uni degli altri, siamo costretti a stare tutti insieme. Non importa quanto lontano scappiamo, voltandoci ritroveremo qualcuno di loro a rincorrerci.
A scuola, a casa, durante i primi lavoretti, agli appuntamenti, alle feste, in vacanza: sempre insieme, d'odio e in disaccordo. Io voglio levarmelo di torno e lui lo stesso. Le nostre genitrici non possono davvero nuocersi fisicamente, ma noi sì. Allora, per quanto possa essere grato e affezionato a Jin Ha, quando faccio del male a Mingyu mi sembra di farlo anche a lei così da vendicare mia mamma, in parte.
Sono partito da casa dei miei a diciotto anni, nella speranza di trovare finalmente una tregua. I nonni, la zia e papà adorano Jin Ha e Mingyu quindi in un modo o nell'altro finivano per passare quasi tutte le sere da noi. Mamma però dice che da quando me ne sono andato, Mingyu li visita di rado. Desidererei sapere perché non poteva adottare tale abitudine nel tempo in cui io abitavo ancora lì.
L'appartamento in cui risiedo dista a pochi chilometri dalla villa familiare, nel medesimo quartiere. Se fosse stato per me, mi sarei allontanato il più possibile. Ma come avrei potuto abbandonare mia madre in quel calvario?
Se stasera Mingyu è qui, appoggiato al suo maggiolino azzurro, è perché ho cercato d'essere sincero, probabilmente troppo. A mezzogiorno abbiamo pranzato insieme, io evito di stringere amicizie e lui di punto in bianco ha tagliato i ponti con tutte le sue comitive. Credevo che avesse deciso d'imparare a godersi la solitudine ma mi sbagliavo. Per lui isolarsi è l'equivalente ad occupare i miei spazi. L'ho offeso rammentandogli che la sua compagnia era soffocante per me. Non ho terminato il pasto, sono tornato in aula ignorando il senso di colpa nei suoi confronti che mi perseguita sin da quando ho acquisito la memoria. Mingyu dopo esser stato rifiutato, non reagiva come un po' tutti facciamo: alzando le spalle e proseguendo per il nostro cammino. Lui, si sentiva in obbligo di dimostrare che la mia opinione su di lui era sbagliata. Doveva persuadermi, con le buone maniere o senza.
È più semplice, direi istintivo, per noi affermarsi scontrandoci, senza ascoltare ne dibattere. Lo scopo è ferirsi, le lesioni recate da una lotta fisica sono evidenti e durevoli. L'unica cosa che ci lega è il conflitto, suppongo sia in ragione di ciò che lo perpetuiamo.
Ma stasera di suonargliele non mi sento capace, chissà sarà la spossatezza che giunge nel fine settimana, il poco sonno, l'aria rovente, la paranoia... La paura. Eppure ci sono abituato, conosco il mio avversario come il fondo delle mie tasche, riesco a prevedere ed attutire ciascuno dei suoi attacchi, dei suoi movimenti. Perché qualcosa dovrebbe cambiare ora? Il mio timore senso non ne ha.
Anche se controvoglia, devo dilettarmi con lui e confidare nelle mie capacità. Il suo modo operativo è sempre analogo, l'obiettivo è farmi ritrovare con un occhio viola. Parte con la gambasinistra, piegando a novanta gradi il ginocchio per darsi un leggero slancio,in seguito atterra sulla pianta del piede destro cercando di trovare un buonequilibrio e infine corre nella mia direzione. Arrivato a poco meno di un metroda me preparerebbe il suo colpo, stringendo le dita contro il palmo della mano,quella mancina, per poi allungare l'altra e bloccarmi la nuca, così daamplificare l'impatto del gesto. Se ora seguisse questo schema, non dovrei faraltro che indietreggiare di qualche passo, lasciarlo raggiungermi a distanza diquel famoso metro e abbassarmi cingendolo per i fianchi e scaraventarlo a terraspingendomi con le ginocchia. A quel punto basterebbe girarlo a pancia sotto,portargli entrambe le mani dietro la schiena e impugnargli i capelli per poifargli sbattere la testa sul cemento. Magari dovrei allontanarmi verso un angolo meno visibile, così i vicininon possono dirmi nulla.
Mentre stavo meditando a come soggiogarlo, Mingyu non si è mosso dalla cappotta celeste. E io mi interrogo sulla ragione della sua staticità. Forse attende che sia io ad aprire le danze, ma non abbocco: non faccio un passo fino a che non lo fa lui. È la regola, l'ordine prestabilito delle cose, se crede poter mutare quel che gli risulta scomodo è un imbranato.
"Mingyu, ma che hai?", sbotto spazientito.
"Lasciamo stare la rissa, Wonwoo. Ho bisogno di dirti una cosa. Bé la sai già. Ma adesso sono sicuro di quel che ho visto."