(Estate al mare, Droghe)
PARTE 2Non scherza più, lui che è così solito a rallegrare gli animi. Inerte, non si lascia interpellare nella baldoria dei fanciulli che lo accompagnano. Loro discorrono e lui sposta il cibo da un lato all'altro del piatto con la punta delle bacchette di legno sbiadito, infilza i ravioli al vapore provocando la fuoriuscita del macinato di maiale, lo spalma sul disco di ceramica col dorso di un cucchiaio. Lo innaffia con una generosa dose di salsa di soia e lo rimescola. Poi contempla con aria fiera la poltiglia dalla consistenza molliccia che ha realizzato, alza un sopracciglio e incurva i lati della bocca in una smorfia, sospira e si alza senza la decenza di congedarsi dalla combriccola. I commensali lo squadrano, lo interrogano in tono di protesta ma lui sparisce nell'ombra del corridoio portandosi via le sue risposte.
Dal mio canto, ho schivato le attività previste per il resto della serata e ho telefonato i miei prima d'appisolarmi. Speravo che il sonno riuscisse a spazzare gli accaduti del pomeriggio. Eppure mi sono svegliato alle due, in seguito ad uno strano incubo. I ragazzi con cui condivido la stanza si saranno coricati da già un paio d'ore. Sono uscito in punta di piedi recandomi nel cortile dell'ostello, mi ci vuole un po'di aria fresca per far respirare la mente. Qui fuori è tutto trasandato, impacchettato nella malinconia. Le cicale intonano una dolce melodia e credo di udire anche gli squittii acuti di qualche civetta. Non c'è da stupirsi, i rombi delle automobili di città sono ben lontani.
Non c'è che il bagliore della luna a tratteggiare il mio cammino, in uno stato di dormiveglia raggiungo il muretto adibito a stabilire i confini della proprietà. Mi ci siedo e poso lo sguardo sulla strada asfaltata percossa da crepe e varie buche dove si è accumulata l'acqua piovana. Due ratti in sovrappeso e dal pelo ricoperto dal catrame si sono fiondati dentro una pozzanghera. Questo è davvero un tugurio dimenticato da Dio. Abbozzo un ghigno di disgusto assistendo al bagno termale delle bestie,quelle loro code di una quindicina di centimetri circa che strisciano indisturbate e si intrecciano l'una con l'altra mi fanno accapponare la pelle e contorcere le viscere. Per alleviare il riflesso di rigurgitare occupo le labbra con una sigaretta.
Il fumo azzurrino che scappa dalle ceneri ardenti mi annebbia la vista, attraverso il vapore una sagoma slanciata incombe. Uno dei ratti si erige ora su due zampe, ha raggiunto il metro e novanta e il suo muso pare aver adottato le doti espressive di una creatura umana. Si accovaccia per adeguarsi al mio livello poi con un movimento lento protrae uno degli arti anteriori, quasi sfiorandomi la testa. Con l'indice sottile ed aguzzo punta al pacchetto blu, le due sfere cupe in rilievo all'origine degli zigomi si dilatano percosse da una scintilla di quella che mi pare simpatia. La peluria lercia si drizza in segno di gioiosa impazienza. Senza inquisire, in uno stato di atrofia causata dalla dolce miscela di terrore e insofferenza, pesco una sigaretta dalla scatola in cartone e la porgo al roditore che la raccoglie tra le sue spesse unghie ingiallite. La porta al muso e se l'incastra tra i due incisivi patinati di placca biancastra in aggiunta realizza un cenno di capo nell'intento di ringraziarmi. Poi nel più discreto silenzio, si accomoda al mio fianco avvolgendosi la coda pallida attorno al grembo bombato. Il tanfo emanato dal suo corpo ammorba l'aria circostante, avrà passeggiato per le fognature prima di recarsi qui, pertanto non posso impedirmi di constatare che la sua attitudine testimonia d'aver ricevuto un'infarinatura sulle convenzioni sociali vigenti nel mondo degli uomini.
"Lei, è soddisfatto della vita che conduce signor Jeon?", chiede in tono solenne l'animale voltando il muso verso di me, le narici strette vibrano leggermente scacciando il fumo. Mi stupisce il fatto che conosca il mio cognome ma cerco di non darlo a vedere per non mettere il mio singolare interlocutore a disagio.
"-Direi di sì. A colte mi rattristisco un po' ma capita a tutti no? Io non esigo tanto in fin dei conti.
-Apprezzo le persone come Lei, Signor Jeon. Bisogna trovare la bellezza nelle banalità della vita, perché quella è palpabile, vera. Le grandi cose hanno sempre un fondo d'artefatto.
-Concordo Signor...?
-Mi chiami solo Signor Ratto.È quello che sono e d'altronde la mia specie non ha la necessità di codificare ogni suo individuo per distinguerlo e organizzarsi.
-Capisco... Signor Ratto. L'affermazione dell'identità propria non è un aspetto prioritario della vostra società.
-In effetti no, in realtà siamo sconosciuti che vagano qualche volta in branco e altre da soli. Non stringiamo legami affettivi tra noi, proviamo amore solo per l'avventura.
-Piacerebbe anche a me essere uno sconosciuto con nessuno a poter testimoniare della mia esistenza unica.
-Purtroppo nella realtà umana, questo è impossibile. Dunque si adatti, viva da uomo e non da ratto. Afferri le occasioni che la sua condizione Le offre.
-Mi vedo costretto a farlo.
-Così è la vi – Credo che qualcuno La stia chiamando.
-Oh, allora ci lasciamo qui Signor Ratto. È stato un piacere conversare con Lei!
- Anche per me figliolo, La ringrazio ancora per la sigaretta.
-Si figuri! A presto!"