Hotel Bistrot "Dama D'oro"

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Era una serata piovosa.

Io e la mia compagna ci eravamo diretti al locale più lussuoso di tutta la città, attrezzandoci di mantelle per la pioggia e ombrelli.

Questo locale era famoso in quanto sembrava sospeso nell'aria, quasi come se si reggesse da solo. Ma in realtà era collegato all'Hotel Dama D'oro, altrettanto famoso in quanto era ambito spesso da celebrità di tutti i tipi. Quella sera era abbastanza vuoto, era un giovedì sera e l'occasione era quella di una semplice uscita dalle solite quattro mura di casa.

La cosa che mi piaceva di più di questo posto era che potevi andarci anche solo per bere qualcosa in tranquillità, oltre che cenare, visto che era attrezzato anche di angolo bar. Era il nostro angolo preferito, perché era con vista sulla città. Aveva delle ampie vetrate che permettevano a chiunque di guardare fuori e queste vetrate erano le pareti dello stabile sospeso di cui vi parlavo prima. Potevi guardare fuori, ma anche da fuori potevano vedere dentro. Sotto questo gigante rettangolo sospeso passava una delle strade principali, anche se quella sera sembrava deserta come il resto della città.

Non ci facemmo molto caso, eravamo concentrati a goderci la serata. Quando ci sedemmo al tavolino, di quelli rotondi tipici da bar, ma con un tocco di classe ed eleganza in più dato dalle parti in pelle di bovino e le sedie rivestite di pelle nera, mi accorsi che al tavolo a fianco sedeva la mia ex con il suo compagno. Non ero imbarazzato, ma lei sembrava di sì. Comunque, la salutai con un sorriso cercando di essere educato e gentile. Poco dopo entrarono nel locale anche tre persone a me familiari, che salutai con un sorriso non appena le vidi.

Si sedettero al tavolo pure loro.

Un sottofondo di musica jazz degli anni Venti del Novecento ci stava gratificando le orecchie, insieme al rumore dello shaker dei baristi.

L'angolo bar era molto elegante: dai tavolini rivestiti di pelle, al pavimento in parquet alla parete di scaffali pieni di bottiglie di superalcolici, ai tanti lampadari a forma classica sul soffitto, alle travi in legno d'acero che chiudevano gli angoli della stanza.

Fuori iniziò a piovere ancora più forte, sempre più forte. Eravamo preoccupati potesse fare grossi danni.

Ero fortunato, perché in quel locale mi davano la possibilità di lasciare le mie tre chitarre per quando dovevo suonare lì o per quando dovevo provare. Mi avevano lasciato mettere i miei strumenti in una stanza al piano inferiore, dove vi erano anche manufatti antichi e altri oggetti di un certo valore. Il proprietario era un collezionista di alto rango, di quelli che non se ne fanno scappare uno.

La porta per salire e scendere dall'angolo bar non c'era, ma c'erano delle scale che stavano sempre al buio, quasi totale. Solamente delle luci fioche illuminavano gli scalini, anche essi ricoperti di tessuto.

Lasciai la mia compagna da sola per qualche minuto, giusto per controllare che fosse tutto al suo posto nella stanza dei manufatti, così la chiamavamo.

Quando entrai vidi che era stracolma, come al solito. La bacheca di vetro centrale, con la maschera di un faraone dell'antico Egitto era sempre al suo posto. Alla destra le mie chitarre.

Tornai al piano superiore e colsi l'occasione per salutare le tre ragazze che conoscevo, arrivate poco dopo di me.

"Ciao, tutto bene?" chiesi loro.

"Si dai, te?" mi domandò la ragazza al centro.

"Tutto bene, sono qua con la mia compagna per una serata di svago".

"Bravi! Noi pure! Buona serata allora" mi disse.

E ci salutammo.

Quando mi sedetti al tavolo vidi che fuori la pioggia era diventata talmente forte da creare un fiume, o meglio un mare in tempesta che stava inondando tutta la città. Tutti ci affacciammo a guardare impauriti, ma allo stesso tempo sicuri che tutto sarebbe finito per il meglio.

"Per fortuna siamo sospesi in aria" dissi al resto delle persone nella sala.

"Si, ma se l'acqua sale ancora può arrivare a corrodere l'edificio e a staccarlo dall'hotel" mi rispose il barista, anche lui preoccupato.

"Speriamo di no".

Le ultime parole famose.

In quel momento l'acqua, dalla sua potenza, staccò prepotentemente l'edificio e ci fece balzare dalle sedie.

"Tenetevi forte alle vostre sedie" urlai.

Mi aggrappai come meglio potessi alla mia sedia e in quel momento venimmo scaraventati a destra e a sinistra, prima di iniziare a roteare su noi stessi per ben diciotto volte.

Avete presente la sensazione di quando chiudi gli occhi sperando che così passi più velocemente ciò che sta accadendo? Ecco, per me fu esattamente così.

Giusto qualche minuto di sballottolamento su e giù, a destra e a sinistra, prima di tornare alla calma.

Quando riuscimmo finalmente a riprendere il controllo della situazione, il mare era svanito nel nulla, ma i danni si manifestavano davanti a noi con chiarezza.

Il locale era stato messo a soqquadro, ogni bottiglia rotta, i tavoli e le sedie erano a terra, il fango e l'acqua stavano sotto i nostri piedi, le luci erano saltate e rimaneva solo qualche scintilla dai cavi che pendevano dal soffitto.

Guardai subito se la mia compagna stava bene e così era.

Scesi al piano di sotto, per vedere se fossero ancora intatte le mie chitarre. Ne era sparita una. Ma come era possibile? Cercai dappertutto, ma non la trovai. Dovetti rassegnarmi di averla persa nel terribile disastro atmosferico che ci aveva colpiti qualche minuto prima.

Risalii le scale e corsi subito dalle tre ragazze, mie amiche che stavano in entrata.

"State bene?" chiesi loro.

La ragazza che stava in mezzo stava piangendo a dirotto.

"Perché ci è capitato questo? Perché?!?!" mi domandò, in un momento di sconforto e rabbia davvero forti.

Non sapevo cosa fare, così le abbracciai tutte e tre.

"Andrà tutto bene" dissi, cercando di esserle di conforto.

Dentro di me c'era un turbinio di sensazioni ed emozioni forti, che non sapevo cosa fare, dove andare, chi chiamare. Ero in completa confusione, con il respiro affannoso e voglia di piangere per la disperazione. Dovevo però rimanere saldo, compatto per poter essere d'aiuto a tutti. Ma la voglia di piangere prese il sopravvento e così, in mezzo al disastro che mi stava attorno, mi inginocchiai e piansi. Eravamo state vittime di un evento talmente eccezionale e catastrofico, che nessuno ci avrebbe mai creduto. Ma i danni erano perlopiù morali che strutturali. Sapevo che non poteva essere vero, doveva non esserlo!

Così di colpo mi svegliai. Ero ancora nella mia stanza, in una calda notte di San Lorenzo. Nella mia stanza regnava il buio, la quiete. Guardai l'ora, erano le tre e mezza del mattino. Ancora troppo presto per svegliarsi, meglio girarsi dalla parte opposta e cercare di dormire serenamente le prossime ore prima della sveglia. E così fu.

Hotel Bistrot "Dama d'oro"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora