Bambolina

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Prompt: Anticipo, tè, disdetta, opera, passato



Grace aspettava quel giorno da tutta la settimana. Il giovedì precedente zia Florence le aveva dato una splendida notizia: un cliente aveva dato la disdetta all'ultimo momento per un ordine. Questo significava che l'avrebbe data a lei. A lei!

Il fatto è che in mano sua le bambole non duravano molto. Sua madre aveva proibito a zia Florence di regalargliene altre se non per il suo compleanno, che era stato il mese prima, e per Natale, a cui mancavano ancora diversi mesi. Ma quella era un'eccezione, aveva detto zia Florence, non poteva mica buttarla via. E poi era bionda, mentre tutte le altre che Grace aveva avuto erano brune.

L'orologio sul caminetto della sua cameretta segnava le tre meno un quarto. Mancavano solo quindici minuti. Grace non stava più nella pelle: era seduta tutta rigida sul divanetto, giocando con i boccoli biondi; agitava i piedini allacciati nelle lucide Mary Jane, dalle quali spuntavano dei calzini bianchi ornati di pizzo. Con uno dei suoi calzini una volta aveva cercato di fare un vestitino ad una delle bambole, ma aveva forzato troppo le braccia per farle uscire dalla trama del pizzo e gliele aveva rotte. Sua madre si era arrabbiata moltissimo. Non l'aveva fatto apposta, voleva solo un abito da sposa per la sua bambola. Le spose erano le più rare e lei ne desiderava una da sempre. E ora, finalmente, ne avrebbe avuta una.

Il campanello di casa trillò.

Grace batté le mani guantate, contenta, impaziente di scartare la sua bambola speciale.



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La prima volta che Serena aprì gli occhi non vide nulla. Era circondata dall'oscurità. Si sentiva stordita e la testa le sarebbe caduta in avanti per quanto era pesante, se solo non ci fosse stato qualcosa a bloccargliela. Le sembrava di sentire delle voci là fuori – ma là fuori dove – attutite dal buio, dall'oblio che ancora reclamava i suoi sogni tormentati. Le palpebre le si chiusero di nuovo. Forse, non le aveva mai aperte.

Quando Serena si svegliò, pensò di aver fatto un incubo. Si stiracchiò sul letto morbido, afferrando la coperta di raso. Fu quello il primo campanello d'allarme: lei non aveva mai avuto lenzuola di raso. Allungò un braccio sul letto, come cercando qualcuno. Un gesto spontaneo al quale non fece nemmeno caso. Era buio, doveva essere ancora notte.

Un lamento proveniente da un'altra stanza spezzò il silenzio e le gelò il sangue. Qualcuno – una donna, decise Serena – stava piangendo. O forse era una bambina? Cercò a tentoni una lampada e picchiò la mano contro lo spigolo di un comodino. La trovò e l'accese. La luce era debole, ma bastò a rischiarare l'ambiente: una lussuosa stanza con carta da parati a fiori, un letto in legno dalle lenzuola rosse, un tavolino con due poltrone, un armadio. Poteva essere la stanza di un albergo, pensò. In ultimo, guardò il suo corpo. Indossava un abito da sposa, gli strati di tessuto vaporosi come una meringa. Si chiese cosa diavolo ci facesse in una camera d'albergo vestita a quel modo, ma una fitta lancinante alla testa la distolse da quelle scomode domande. Si sentiva così stanca, così pesante. Non si accorse di essersi riaddormentata, cullata dalla melodia di quel pianto disperato.

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