memories

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Il caffè arrivò.
E ne arrivò un secondo.
E poi un terzo e così via.

Da quel giorno, Hoetaek aveva iniziato a presentarsi spesso in quel bar.
Soprattutto nei giorni particolarmente nuvolosi.
Si sedeva sempre al tavolo davanti la vetrata, e ordinava sempre lo stesso caffè.
Anche se si trattava di una ripetizione di eventi, questo suo nuovo interesse nel frequentare il bar lo aveva giovato.

Oltre che ad avere una scusa per uscire di casa, ormai quelle visite giornaliere si erano trasformate in una specie di appuntamento fisso con il ragazzo cameriere dai capelli rossi.

Il suo nome era Kang Hyunggu, anche se dai suoi colleghi si faceva chiamare Kino, e allo stesso modo chiese ad Hoetaek di chiamarlo così.
Quest'ultimo si presentava al bar spesso in mattinata, quando ormai sia gli studenti che i lavoratori erano impegnati, ed il bar era praticamente vuoto. Permetteva a Kino di portare il caffè e sedersi a parlare con quello che ormai era il suo cliente preferito.

Stava diventando più di un semplice cliente, pensava il più giovane.

Hoetaek da parte sua accettava con gioia la sua compagnia, Hyunggu (o Kino) era un gran chiacchierone e aveva la risata più contagiosa che avesse mai sentito.

Hoetaek non ricordava di aver mai riso tanto con una persona, in quegli ultimi anni.
Forse aveva riso così in giovane età, ma in un tempo ormai troppo lontano per lui.

Si faceva raccontare dal più giovane le storie degli altri dipendenti, dei clienti che lo avevano commosso, perché Kino amava parlare con le persone, ci si immedesimava e si affezionava in fretta.
Hoetaek notò che non fece mai e poi mai un'affermazione cattiva o anche una piccola presa in giro sulle persone di cui parlava, di solito chi fa questo genere di lavoro tende a fare umorismo sui clienti più strani che ha avuto o cose così. Kino no.
Kino vedeva solo gli aspetti positivi di chiunque, e li apprezzava, li amava.

Gli raccontò anche perché fosse venuto a lavorare lì, in quel piccolo bar, dal nome Violet, con un menù così limitato (non potevano permettersi molto i proprietari, gli confidò), con soli 4 dipendenti, con l'unica bella caratteristica quella di avere una vetrata che dava sul cielo.
Aveva deciso di lavorare in quel bar perché, aveva un bellissimo nome.

Non fu l'unica cosa che lasciò sbigottito Hoetaek, Kino in futuro gli riservò tante sorprese come quella.
Ma in quel momento, si disse
Perché non sono come lui?
Perché non riesco a vedere la semplicità e la bellezza delle cose così come stanno? Si chiedeva.

Proprio per questo si presentava sempre più spesso al bar.
Aveva bisogno di sentire la voce di Kino, di sentire le sue storie, di imparare ogni giorno qualcosa in più da lui.
La sua ispirazione tornò.
Decise di continuare a comporre la sua canzone, ma dedicandola stavolta al suo dolce cameriere.
La modificò, la rifece daccapo, riprovò ancora e ancora. Decise di iniziare con un attacco dolce ma che rimane impresso, proprio come gli aveva dimostrato Kino.

Kino dal canto suo, non riusciva a non pensare al suo amato cliente. Non gli era mai capitato che una persona tornasse così assiduamente al bar per cercarlo. Nella sua vita in generale, nessuno era mai venuto a cercarlo.

Anche se amava raccontare le sue storie e instaurare legami con la clientela, in cuor suo temeva che una conoscenza più approfondita avrebbe annoiato l'altra persona.
Le amicizie tossiche avute in adolescenza gli avevano tolto la fiducia in sé stesso nel creare qualcosa di concreto, si accontentava di cose effimere, che duravano poco, in modo tale da ridurre l'eventuale dolore che gli avrebbero portato le relazioni con gli altri.

E ci pensava su, mentre puliva i tavolini a fine giornata, quando si faceva sera e lui odiava il buio.
Ci pensava così tanto, forse troppo, che alle volte si trovava a pulire via le macchie di caffè insieme alle sue lacrime dal tavolino sporco.

Molte volte temeva di perdere la voglia di lavorare per tale problema, si sentiva un fallito destinato a rimanere da solo.
Fino a quel momento però, da cui riusciva a percepire la luce in fondo al tunnel.

Così, ogni mattina aspettava che alle 11:20 si presentasse; con le mani tremanti e le farfalle che volevano bucargli lo stomaco, attendeva sul marciapiede davanti l'ingresso, a qualche passo dalla fermata dell'autobus, il suo amato.

Sì, amato.

Lo chiamava sempre così tra sé e sé.

E lo vedeva scendere i tre gradini del bus, lo vedeva alzare lo sguardo e lo vedeva sorridere.
Era quella, la sua luce.

❪King of the Clouds❫ᴴᵘⁱ×ᵖᵗᵍDove le storie prendono vita. Scoprilo ora