Capitolo 2.

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Era stata una settimana difficile.
Quel giorno infatti, appena entrato in stanza della ragazza, Cesare dovette uscire immediatamente: stava andando in arresto.

Federico diceva che era troppo debole a causa dell'intervento.
La salvarono ancora, ma ci misero comunque parecchio a rendere la situazione stabile.

Rimase in rianimazione per un po' e solo dopo quattro giorni riaprì gli occhi.
Era viva, ma ancora debole e stanca.
Negli ultimi giorni fu controllata a vista da tutti, medici ed infermieri, ma aveva chiesto di lui, ancora.

Quel giorno, visto che le sue condizioni ormai erano stabili e lei si sentiva più in forze, lo avevano chiamato: Cesare poteva finalmente vederla.

Si trovava lì, davanti a quella stanza, la porta aperta, deciso ad entrare.

La stanza era bianca.
Bianco era il letto contro la parete sinistra. Bianche le lenzuola e il cuscino.
Bianco anche il comodino in legno sulla destra e la poltrona sul fianco sinistro del letto.
Ma non era bianca la luce che entrava nella stanza.
I primi raggi del sole mossi dall'alba entravano pigri dalle finestre poste dal lato opposto della porta. Le tende erano di un rosa pallido, un colore rilassante e armonioso che tranquillizzava il cuore, la mente, i pensieri.

Quel colore così placido e sereno aveva il potere di calmare l'anima smorzando il bianco accecante della stanza. Senza quelle tende i pensieri sarebbero stati così forti da spaccare il cranio. Era forse quello il compito di quei semplici pezzetti di stoffa? Potevano davvero calmare? Placare? Dar pace?

Cesare guardò la ragazza distesa sull'unico letto della stanza, il volto girato contro le finestre, o forse, attenta come lui, fissava le tende.
Si chiese che sensazione fosse quella di non ricordare nulla della propria vita.
Si poteva essere nostalgici per qualcosa che nemmeno si ricordava?

Probabilmente sì.
La mancanza crea sempre più dolore, sempre. E questo Cesare lo sapeva bene. È solo quando si perde qualcosa, qualcuno, "qualcunA", che ci si rende conto del valore che aveva nella nostra singola vita, nella nostra esistenza.

E se molte persone, come lui, rimanevano devastate dalla singola perdita di una persona, come poteva fare quella ragazza che aveva perso tutte le persone della sua vita?
Non le ricordava, certo, ma questo non significava che non potesse sentirne la mancanza.

"Il vuoto lascia un segno maggiore. La mancanza è come una voragine incastonata nel petto"
Pensò lui, passandosi una mano tra i capelli.

Sospirò appena, attento a non disturbare la quiete di quella stanza fuori dal tempo e dallo spazio, e si concentrò su di lei.
C'era qualcosa di diverso rispetto all'ultima volta che l'aveva vista.
I suoi capelli ora erano asciutti e con un sorriso notò che aveva avuto ragione; erano lunghi e più ricci dei suoi.
Era un riccio morbido, delicato, non forte e pungente. Erano come dei boccoli vellutati, più schiacciati all'attaccatura e lievemente più gonfi via via che scendevano verso le punte. Ciò che era diverso era il colore.
Era convinto che fossero neri, visto che da bagnati lo erano, ma non fu così.
La luce che passava attraverso le tende le illuminò una ciocca vicino al volto e i riflessi più accesi le illuminarono il viso.
Riflessi rossi. Quei capelli che aveva creduto neri in realtà erano rossi.
Ma non un rosso acceso, non un classico rosso.
Era un rosso profondo, un rosso intenso, così scuro che a volte prendeva riflessi neri nelle parti più ombreggiate.
Erano di un color rosso mogano ma quello che lasciò Cesare sorpreso fu che era un colore naturale, ne era certo.
Non poteva essere una tinta, era troppo caldo, troppo lucente per poterlo essere. Soprattutto le donne che si tingevano di rosso erano, secondo lui, visibilmente riconoscibili.
Sotto forma di tinta il colore rosso era molto acceso e invasivo oppure chiaramente artificiale.
Non era così per lei. Quei capelli erano semplici e naturali, lucenti e allo stesso tempo oscuri per quelle venature quasi nere.
Quei capelli, come i suoi occhi, creavano una sorta di magia, un alone di mistero. Erano surreali.

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