Smettila #Peter, Harry

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Seduto sul divano del suo mega appartamento all’ultimo piano della Oscorp, Harry fissava fuori dalle finestre. Erano da poco passate le dieci di mattina, ma il sole splendeva facendo brillare i tetti e le vetrate dei palazzi davanti alla torre. Era una giornata perfetta: sole, cielo terso, senza nuvole, temperatura gradevole. Uno di quei sabati in cui le famiglie uscivano, i ragazzi andavano in giro per la città... e lui restava lì, solo, a rimuginare su che razza di schifo fosse la sua vita.

Con un profondo sospiro Harry si alzò, andando a passi lenti verso il davanzale, premendo le lunghe dita pallide sulla voglia verdastra che aveva sul collo. Quello era il segno della sua condanna; ogni volta che provava un minimo sentimento di pace, quella... cosa era lì a ricordargli che ben presto sarebbe morto.

Si morse il labbro, poggiando i gomiti sul marmo freddo. I suoi occhi percorsero la strada, le persone, i colori, la gente che camminava ignara del dolore e della solitudine che stava provando. Una morsa di tristezza gli serrò la bocca dello stomaco. I suoi occhi si riempirono di malinconia.

Sembravano due frammenti di vetro, illuminato della luce del sole; quelle iridi mostravano tutte le crepe dolorose che si erano scavate nella sua anima. Però non c’era nessuno a vederle.

Harry si morse il labbro, serrando le dita sul marmo tiepido della finestra.

Prese un respiro profondo, stringendo i muscoli delle braccia così forte da mettere in risalto il reticolo azzurrognolo delle vene sui polsi.

Lo squillo del cellulare interruppe i suoi pensieri. Si voltò, svogliato, e in pochi passi fu davanti al tavolo. Allungò la mano e guardò il display: Peter.

Per un attimo il suo cuore iniziò a velocizzare il battito cardiaco, ma Harry si impose di darsi una calmata. Sfiorò lo schermo e si portò il cellulare all’orecchio. Non fece nemmeno in tempo a muovere le labbra che la voce di Peter, spezzata e nervosa, gli trapanò il cervello.

-Ho litigato con Gwen, non.... non mi parla più... io lo so che ho sbagliato, ma ho paura, ho paura, ho paura. Non.... di sbagliare tutto, di farle del male, di far del male a te. Non... non volevo essere così insensibile, però ho troppa paura. Mi ha lasciato, Harry. Non ce la faccio più, mi manca, mi manca, mi manca. Ho... ho bisogno di vederti, Harry. Ho bisogno di te. Harry. Harry.

Il ragazzo sospirò, strofinandosi la fronte con il palmo della mano. Per un attimo tutte le preoccupazioni gli scivolarono via dalla mente, mentre sentiva la voce nervosa di Peter attentare alle sue orecchie.

-Harry? Ehi, Harry.

-Sono qui- mormorò. Per qualche secondo udì solo silenzio, e si rese conto di quanto roca fosse la sua voce.

-Harry, stai bene? Cosa c’è? E’ per... per quello, vero?- Sembrava quasi che Peter avesse paura di fargli male, a giudicare dal suo tono esitante. E infatti le sue parole avevano avuto lo stesso effetto di un pugno nello stomaco.

-Sì, sì, sto bene. Senti... ci vediamo tra dieci minuti  al fiume. Okay?

Forse con Peter la giornata sarebbe migliorata. Non aveva avuto un amico per troppo tempo. Ma ora l’aveva.

-Harry- il ragazzo serrò le labbra, mentre i lineamenti pallidi del suo viso si incupivano -senti, non.... non puoi continuare così. Ti stai rovinando con le tue stesse mani. Per favore. Smettila di bere, di stare rinchiuso in quella stanza. Smettila di pensare a tuo padre, pensa un po’ a te. Ti voglio bene, Harry, farò tutto quello che posso fare per aiutarti, ma torna quello di prima. L’Harry di prima. Il mio Harry.

Harry deglutì. Sentiva la gola gonfia, il respiro pesante. Una piccola, scintillante lacrima aveva solcato la sua guancia morbida.

-D’accordo- Harry si schiarì la voce. -Okay.

Dopo un momento di imbarazzantissimo silenzio Peter sorrise con la voce.

-Però sei carino spettinato, lo sai?

Per la prima volta da molto, molto tempo, Harry rise.

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