Y/n: your name, il tuo nome.
Era più soffice di tutti i letti su cui avevi dormito, il suo, compresi quelli degli hotel a Praga, Berlino, Atene e Londra. Sembrava un grande cuscino di piume dove il tuo corpo affondava comodamente. Fissavi la sua finestra, da cui riuscivi a vedere le cime degli altri palazzi della città. Il cielo era buio, cosparso di piccole e lontane luci artificiali lungo le vetrate dei grattacieli.
C'era silenzio, il che per te non era un problema, dato che era da sempre stato il tuo migliore amico, ma a quanto avevi capito lui lo odiava. Forse per questo ti aveva invitata ad uscire dopo che era finito il tuo turno di lavoro, bloccandoti nell'ascensore, e come avresti mai potuto dire di no a quegli occhi così belli?
Ti aspettavi qualche ristorante di lusso, che ovviamente avresti odiato a prima vista dato che i tuoi non ti avevano di certo cresciuta navigando nell'oro, e invece aveva saputo sorprenderti portandoti in un piccolo e grazioso locale lì vicino alla Oscorp. Era stato anche meglio di quanto ti aspettassi -insomma, lui era pur sempre il tuo capo, e avevi accettato senza averne la minima voglia per non sentirtelo più chiedere, di uscire, ma lui aveva rovesciato e fatto a pezzi in una mossa sola tutti i tuoi pregiudizi del ventenne figlio di papà incapace anche solo di scrivere il proprio nome.
E per tutta la sera, tra un sorso di vino e l'altro -grazie a Dio il vino lo reggevi, anche se non avevi potuto reggere la vista del modo in cui le sue labbra si chiudevano attorno al bicchiere- eri rimasta in totale balìa delle sue parole e della sua voce calma e furba che raccontava anneddoti sulla vita sulla sua scuola e ti faceva domande su domande sulla tua vita.
E quando poi aveva rifiutato che tu pagassi la tua parte, e ti aveva condotta lungo la strada piena di luci e si era accorto che tremavi dal freddo e ti aveva messo sulle spalle la sua gicca -che sembrava costare più di tutta la tua casa e quelle dei tuoi parenti messi assieme- ti eri davvero sciolta mentre ti sorrideva in quel modo stupendo.
E poi ti aveva anche comprato il gelato, rifiutandosi di avere una segretaria che non mangiava il gelato. Era stato in Italia, ti aveva detto, e quello in America non arrivava minimamente ai livelli del gelato del Bel Paese.
- Sono italiana - gli avevi detto con un enorme sorriso, sorprendendolo - lo so.
E da lì i suoi occhi color zaffiro ti avevano assalita di valanghe di domande, finché nella piazza le vostre mani si erano sfiorate, quasi per caso, e avevi sentito il calore del palmo della sua mano. Avevi schiuso le dita e mentre lui ti fissava avevi sentito il cuore battere a mille nel frattempo che le sue dita si avvolgevano alle tue. Le persone e le luci scorrevano attorno a voi mentre, fermi, vi guardavate e ti accorgevi del modo in cui i suoi occhi riflettevano tutto senza far vedere nemmeno una sfumatura dei sentimenti che stava provando.
Aveva distolto lo sguardo e ti aveva continuato a stringere per mano mentre camminavate.
- Devo accompagnarti a casa - aveva detto poi, tanquillo, ma con una vaga ombra di tormento nella voce.
- Dovresti percorrere mezza città a piedi - gli avevi risposto - andrò in taxi.
Si era girato a guardarti, con le sopracciglia corrugate e un'adorabile aria corrucciata.
- Dove abiti?
Le vostre mani erano ancora intrecciate e avevi sentito che stringeva un poco di più la presa, come a ribadire che eri sua mentre ti tirava verso di lui. Avevi fatto un passo accontentandolo, ma ti eri ritrovata più vicina di quanto pensassi, al suo corpo. Ti sovrastava di tutta la testa, gli stavi fissando lo scollo della felpa che aveva addosso -quella di un normale adolescente, nera. Niente che costasse come il tuo appartamento.
Avevi alzato la testa incontrando i suoi occhi, dicendogli la via, e aveva sgranato gli occhi.
- Tu non ci vai in quella zona a quest'ora - aveva detto duramente. Ti eri morsa il labbro e aveva socchiuso le palpebre.
- Non ho soldi con me a parte cinquanta dollari, non posso pagare un albergo - avevi detto titubante, perché sapevi che non ti avrebbe mai lasciata andare da sola. Nemmeno a te piaceva, ma finché il nuovo appartamento che avevi comprato vicino alla Oscorp non veniva sgombrato del tutto non potevi fare altrimenti.
Perciò lui aveva preso una decisione, e una volta che: - Allora verrai a casa mia - aveva detto, ti eri ritrovata a seguirlo mentre caminava tra la folla. Non ci era voluto molto, tanto anche tu sapevi la strada. Una volta che eravate entrati nel palazzo le vostre mani si erano sciolte e tu avevi abbassto lo sguardo sul pavimento appena lucidato, in marmo, sentendoti vagamente a disagio sotto allo sguardo inistente del portiere. Non avevi mai messo piede in un posto così lussuoso.
Harry ti aveva guardata mentre entravate nell'ascensore, dalle pareti a specchio, con un vago sorriso. Si era avvicinato e avevi fatto un salto di dieci centimetri mentre infilava la mano nella tasca della giacca che avevi ancora addosso.
- Chiavi - aveva detto a pochi centimetri dal tuo viso, mentre le estraeva fissando le tue guance arrossarsi. Il tintinnio del metallo era un vago rumore di sottofondo mentre annegavi nel colore chiaro, di ghiaccio, delle sue iridi.
- Se ti, uhm, baciassi? - aveva chiesto in appena un sussurro, inclinando lievemente la testa. Aveva ridacchiato mentre osservava il tuo sguardo scivolare sulle sue labbra così dannatamente invitanti e soffici.
- Felicia...
Aveva inarcato un sopracciglio. - Felicia?
Ti eri morsa il labbro, sospirando. - C'è qualcosa tra voi?
Harry aveva ridacchiato, avvicinandosi di un passo e bloccandoti contro la prete di metallo. Il freddo era risalito in spirali lungo la tua schiena, ma non ci avevi fatto caso. - No, è solamente la mia seconda segretaria.
Avevi sorriso piano. - Okay, signor Osborn, allora può baciarmi.
Dio, che baci. Nessuno ti aveva mai fatto girare la testa in quel modo con un bacio, a cui poi ovviamente erano seguiti molti altri. Avevate barcollato fino alla porta di casa sua e avevate riso quando le chiavi gli erano cadute di mano. Si era chinato a raccoglierle e mezzo secondo dopo ti eri ritrovata contro la porta, nell'appartamento, e con le sue mani sui tuoi fianchi.Ti aveva trascinato fino in camera e da lì i vestiti erano finiti sul pavimento mentre sì, facevi l'amore con il tuo capo. Ma Dio, era stata la notte più bella di tutta la tua vita.
E adesso sentivi il suo respiro dietro di te mentre ti rammentavi che, diamine, eri finita a letto con il tuo superiore.
Perciò ti eri alzata e cavevi cominciato a raccogliere i tuoi vestiti. Ma quando eri sul punto di lasciare la camera, però, la sua voce roca ti aveva bloccato. Ti eri voltata e, diavolo, era lì, con le coperte che gli coprivano a malapena il basso ventre, appoggiato ai cuscini. I suoi occhi bruciavano.
- Di solito sono io che me ne vado, sai? - sembrava quasi canzonatorio. Avevi alzato le spalle, arrossendo appena mentre il suo sguardo si addolciva.
- Torna qui.
Ed eri tornata da lui, tra le sue braccia mentre il suo petto nudo aderiva alla tua schiena -e avevi disperatamente desiderato di non esserti rivestita.
- Stai qui con me -aveva sussurrato, e tu eri solo stata capace di annuire mentre ti prendeva tra le braccia.
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Harry
FanfictionVERSIONE ORIGINALE DELLA FANFICTION "Toxic" COPIATA DA EFP DA UN'ALTRA UTENTE DI WATTPAD Raccolte di OS su Harry Osborn de "The Amazing Spider-man." Dal II capitolo: ... -Harry- il ragazzo serrò le labbra, mentre i lineamenti pallidi del suo viso...