Nessun rimpianto

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Sua madre non capisce, ma sarà costretta a farlo. Lo farà quando lui tornerà a casa ricco, pieno di fan e con un contratto discografico. E allora saprà di aver sbagliato, saprà che suo figlio è nato per questo.

Allora gli porgerà le sue scuse e lui le accetterà senza indugi, perché è la sua mamma e la ama e vuole solo che lo sostenga. Anche quando se ne è andato di casa voleva solo che lo accompagnasse ai concerti e facesse il tifo per lui, che fosse fiera. Chiude gli occhi e si mette comodo sul divano di quel garage, con la consapevolezza che una volta che avrà suonato all'Orpheum tutto cambierà.

Non ci saranno più notti passate nascosto in un garage, notti in cui la solitudine sembrerà schiacciarlo, notti in cui i dubbi lo terranno sveglio. Presto tornerà a casa dalla sua Unsaid Emily e tutto andrà bene.

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Non può essere morto. Non è possibile, non è successo davvero. Eppure una parte di lui già lo sa, sente che qualcosa che c'era prima adesso non c'è più, come se la sua energia vitale fosse scomparsa in un puf.

Andato, addio, fine dei giochi. Porta una mano al cuore per sentire il ritmo familiare del suo battito, ma quello rimane muto. Il suo cuore non c'è più. Prova a respirare, ma si rende conto di non averne davvero bisogno. I suoi polmoni non ci sono più. O forse è lui a non esserci più. Si ripete ancora che non è possibile. Quella sera avrebbero dovuto suonare all'Orpheum, quella era la notte in cui tutto sarebbe cambiato.

Non può essere vero, non può accettarlo. È poco più di un ragazzino. Non ha fatto pace con sua madre, non è mai tornato a casa a salutare i suoi genitori e non potrà farlo più. Vede gli occhi impanicati di Alex vagare per la stanza senza luce in cui si trovano adesso. Vede le mani del suo amico iniziare a tremare, seguite poi dalle labbra, e dal petto gli esce un suono a malapena umano. Poi, come a rallentatore, lo vede crollare a terra. Alex inizia a singhiozzare, ma né lui né Reggie muovono un passo.

Sa che dovrebbe andare lì, abbracciarlo e dirgli che andrà tutto bene. Sa che è ciò che farebbe ogni essere con un po' di umanità. Ma forse loro non sono più umani, forse non sono altro che scarti del nulla, bloccati lì prima di scomparire.

Resta immobile. Forse, se rimane fermo, si sveglierà e scoprirà che è stato tutto un incubo. Così aspetta in silenzio, mentre i singhiozzi dell'amico riempiono la stanza.

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Quindi sono fantasmi. Cool. Non molto in realtà, ma è felice di essere tornato. E sono passati venticinque anni. Neanche questo è troppo cool.

Ma c'è una ragazzina riccia e nevrotica che li vede, il che sarebbe fantastico se la smettesse di urlare e minacciarli con una croce.

Vorrebbe spiegarle che non farebbe mai del male a nessuno, che si sente in colpa quando schiaccia le mosche, ma lei non la smette di urlare. "Come ti chiami?" le chiede quando sembra essersi calmata. "Julie" risponde. Il suo tono è ostile, eppure lui sorride, non sa se per tranquillizzarla o perché è bello parlare con qualcuno. "Io sono Luke" si presenta, e sorride ancora. Ma lei se non sembra coglierlo e se ne va sbattendo la porta.

When you're smilin' the whole world smiles with you, canticchia una voce nella sua testa. Bastasse quello.

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Col passare del tempo sente invadersi da una nuova positività. Lui e i ragazzi sono ancora insieme, la sua band è la sua famiglia e nessuno gliela porterà via. Inoltre hanno ancora la musica: quando cantano qualcosa la gente può vederli oltre che sentirli. È già qualcosa. È molto più che qualcosa, è la loro seconda chance. Possono riprendersi ciò che la morte gli ha tolto.

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