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C'è una cosa che nessuno dice mai quando si parla di Firenze: ha un cattivo odore. E se lo dico io, che per un periodo della mia vita ho studiato a Venezia, potete credermi sulla parola. Ci sono dei vicoli in cui si sente un odore terribile, e non vedi l'ora di uscirne per respirare dell'aria decente. Aria intrisa di smog, ma sempre meglio di quella puzza indefinita. Rido a questo pensiero, mentre faccio il letto al centro della stanza, con una finestra spalancata che mi fa sentire l'arietta di fine estate sulle spalle. A parte questo, devo dire che è stata una città che ho sempre sognato ed amato. Ho sognato anni prima di riuscire ad andarci, e l'idea che ora è la mia nuova casa mi elettrizza.

Appoggio l'ennesimo scatolone sul pavimento della mia nuova stanza, che contiene quei libri essenziali che senti di dover avere vicino in momenti di sconforto o quando ti senti in confusione. Insomma, non c'è nulla che una rilettura di "Mangia, prega, ama" non possa sistemare. Forse.

Mia madre entra con un altro scatolone e lo appoggia vicino a quello che ho appena posato io.

«Erano gli ultimi?» chiedo, impaziente di cominciare a sistemare tutto e poter dare un ordine a quel disastro. Cosa che non potrò mai fare fino in fondo, perché in questa camera non c'è una libreria. Come si fa a non avere una libreria in casa, mi chiedo io. Ecco cosa comprerò con il mio primo stipendio.

«Sì» conferma mia madre, chiudendo la porta dell'appartamento.

Annuisco tra me e me, e faccio un rapido check di ciò che devo fare assolutamente, tipo la spesa, non appena mi riordino le idee.

«Ok signorina»

Mi volto verso la voce della padrona di casa che mi sorride, e io non riesco a distogliere lo sguardo dalle sue ballerine blu: sono orribili. Mi avvicino timidamente e con il cuore che batte forte per l'emozione, mentre mi porge il contratto.

Spiega qualcosa ma non la ascolto, non ci riesco, e leggo distrattamente la copia fisica del contratto, che tanto so bene di avere salvata anche tra le e-mail importanti, e firmo, con la mano che trema.

«Avevo avvisato il suo coinquilino che sarebbe venuta oggi, deve essere uscito per lasciarvi spazio per agire» dice. Annuisco: non so nulla del mio coinquilino, e non mi fa piacere. Ho sempre sperato fino all'ultimo di trovare un appartamento decente da sola, perché sono una persona introversa e amo la solitudine, e anche perché, ai tempi dell'università, ho vissuto per un anno e mezzo con quattro coinquiline. Quattro. Tutte persone adorabili, ma quattro sono tante, soprattutto quando sono tutte a casa e tu devi usare il bagno. Non vado oltre.

La padrona di casa mi lascia il suo numero, e mi augura una buona permanenza, uscendo dalla porta.

«Sistemiamo un po' ed andiamo a mangiare?» chiede mia madre. Annuisco, contenta. Cerchiamo di sistemare in fretta le cose per gli spazi in comune, in modo che, se il mio coinquilino dovesse tornare, non si ritrovi l'enorme disastro che ho causato con il mio turbolente arrivo. Incredibile come, fino a ieri, stavo facendo le x sul calendario, e ora sono davvero qui. E ho paura per tanti motivi.

Afferro le chiavi che la padrona di casa mi ha lasciato e le infilo in tasca, aprendo la porta ai miei genitori.

«Prego» dico con un sorriso, facendoli uscire per primi. Sto già imparando ad essere una brava padrona di casa, circa. Per l'ennesima volta oggi faccio quelle scale, ma almeno sarà una bella attività fisica per questo periodo indefinito della mia vita. Quanto starò qui? Finchè non mi licenzieranno immagino. E mi sale il panico, sono molto brava a farmelo venire: e se facessi qualcosa di sbagliato? Tremo impercettibilmente, sentendo lo stomaco chiudersi proprio ora che sono davanti alla mia agognata spianata piccante.

Ascolto il commesso parlarmi con il suo adorabile accento fiorentino, e pago, stringendo il sacchetto bianco con il mio pranzo sottobraccio.

«Grazie» dico con un sorriso.

Begin Again// Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora