Sale 5

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Stile di base

Dedicai interamente la mia uggiosa permanenza all'ateneo di Oxford, come professore associato, all'altrui quasi ignoto Spurio Emilio Fausto. Originario della Spagna meridionale, fu figlio d'un militare d'alto grado e di una schiava affrancata. Attorno all'anno 70 fu poeta, satiro e storico: questo è il poco che dicono le carte.

Non precisavano dettagli in più nemmeno i rotoli ingialliti che trovai, poco più che fanciullo, dentro un baule della casa padronale, assieme a una bussola il cui significato, ormai, era caduto nel nostro oblio. Eppure, quel giorno, mi prese una febbricitante ossessione di cui ancora trascino gli strascichi; mania che mi portò infine a ottenere il dottorato di ricerca, quando riuscii ad accostare l'insigne ma dimenticato Romano all'ispirazione di notissimi nomi della letteratura italiana.

Il primo testo che lessi e compresi nel profondo, quello che portai fino alla tesi, non era che un frammento, intitolato – sicuramente postumo – DE RERVM MIRABILIVM LIBER VNVS. In un latino asciutto e preciso, senz'altro ispirato ai fasti del passato, si leggeva:

«[...] Così dunque convennero Frodronio e Rulliano di incontrarsi a Tusculum il giorno seguente, per discutere un grande argomento, che avrebbe condotto a lungo dibattito. Così come erano nel giusto i veri filosofi quando divisero le cose terrene dalle celesti, e le virtuose dalle malvagie, Frodronio aveva saviamente operato un'ulteriore distinzione, e avrebbe a fondo disquisito con l'amico circa la natura dello sterco.

"Ti rendi conto certo, giacché ti stimo come uomo assennato", principiò Frodronio, "che gli dei ci hanno fornito fenomeni di due nature distinte e non mescolabili, e nostro è il compito di discernere le virtuose dalle meschine. In quanto alla merda, però, il mio discorso cade nel dubbio".

"Sei nel giusto", rispose Rulliano, "e pertanto trovo che sia bene che si racconti un exemplum, che avrei voluto tralasciare per la sua antichità ma che, tuttavia, esporrò lo stesso. Viaggiavo a piedi, diretto a una festività solenne a cui dovevo presenziare (avrei scelto un mezzo più nobile, ma le casse... ah! le casse, quella volta me le aveva svuotate lo zoppo!). A causa sia dell'erba alta sia della mia distrazione, infilai il piede in uno sterco di vacca. Per pulirmi impiegai tempo, e ciò mi fece giungere in ritardo. La natura delle feci è dunque mendace e traditrice, in quanto occulta alla vista. E non parlo solo di quelle di vacca, bada bene, poiché i rifiuti prodotti da ogni creatura, come ti può facilmente dimostrare un medico, provengono dallo stesso stampo. Questa è la mia tesi".

Così disse, e tacque. All'altro, che non la pensava allo stesso modo, parve di ribadire così:

"Tu dunque hai parlato bene, e mi pare corretto ascoltarti. Tuttavia, ti racconterò ciò: mi trovavo a Londinium, nel tempo in cui essa era ancora nota per la barbarità delle genti. Da giorni ciò che si trattiene non vedeva la luce, e questo era per me fonte di una malinconica sofferenza. Tuttavia, giunto alla fastosa domus del console, d'un tratto vidi un pitale aureo – mirabile opera d'artigiano – interamente affrescato con scene della vita d'Eraclito, che tutte scorrevano, invitando alfine anche il mio corpo a scorrere. Non distante, sedeva una mirabile latrina. Grandemente anelando a uno sfogo per lo sfintere, mi slanciai come coll'armi in pugno si slancia un legionario contro i fieri Parti. Pertanto la cacca, a mio parere, dà all'uomo quelle soddisfazioni che raramente ottiene".

Così dunque parlava Frodronio. E anche dopo questi esempi non arrivavano a nulla, e la natura dello sterco non venne chiarita. Così, l'uno stanco per il viaggio, l'altro per mangiare, si ritirarono nella villa, rimandando la disputa al giorno dopo».

 Così, l'uno stanco per il viaggio, l'altro per mangiare, si ritirarono nella villa, rimandando la disputa al giorno dopo»

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Stile imitato (Dante Alighieri)

Ben mi ricordo che con senno ammise
Averroìs nel suo grande commento
le cose terrene esser divise

in buone e malvagie, in gioia e tormento
e che questa lor duplice natura
singola giunge al lor nascimento,

sì che non può darsi che una cura
divenga pace, né vizio virtute,
né rilucente fia mai cosa oscura.

Nella terra dove fuor conosciute
le tracce di chi divezzò 'l Quirino
tra l'erte e l'acclive tenere e mute,

sedeva un tempo il foro tuscolino
ove Rulliano con Frodronio scese
per affrontare un dubbio sibillino:

«Amico» disse 'l primo, «che mi rese
così lieto il consueto desinare,
giungiamo ora al discorso che accese

in me il dubbio, e nel mio petto 'l pensare,
come quei che pose le sfere a tondo,
a quale natura sia da assegnare

testé allo sterco, e quale nel mondo
sia stata la sua natìa posizione:
con ciò che v'è turpe o ciò che v'è mondo».

Disse Rulliano: «O frate, qual tenzone,
quale quesito porti al mio cospetto!
Se tu inver del saper la mia opinione

Ti cal cotanto che con cor distretto
giungi qui a me dal dilemma portato,
sarò per te quei c'ha risposto e ha detto:

Ai dì del Luperco m'ero recato
a portare l'insegne giù all'Urbe amata,
ma poi che, per via incolta, ebbi levato

il pié dalla terra, ecco che ingrata
si lega alla sola un'infida merda
che da rumine di vacca era nata.

Carro non avea, perché – 'l Ciel lo perda! –
lo Zoppo m'avea svuotato le casse.
No, non è d'uopo che un Cesare sperda

il Senato sì, che con tali tasse
lo vessi da privarlo delle rote:
Ahi Druso, la prole tua diventasse

zucca, e dove il mio verbo non puote
giunga l'altrui a completare l'opra!
Ma poi che la scarpa s'alza e si scote

io come quei che con lena s'adopra
a trovare, per pascere gli armenti,
un loco che l'erba tutto ricopra

co' le frasche rimossi gli escrementi.
Vi riuscii in fin, ma tardai a la festa
e ciò mi fu cagione di tormenti.

Pronunzio allora: allo sterco non resta
che mala natura, occulta alla vista,
cosa certa e irremovibile è questa.

E bada bene, perché è cosa trista
ognuna, non sol quella de la vacca:
da cul a cul, altro ben non s'acquista».

Allora Frodronio, che de la cacca
aveva nel cor diverso pensiero
mosse la voce, che mai non si stracca

di risonar nell'aere messaggero:
«A seguir l'animoso moto, amico,
si rischia d'allontanarsi dal vero.

Tant'è che ora io ti parlo e dico:
Di Londinium posseggo un ricordo
atro, barbaro, letale e inimico,

ma vi fu nota d'un sereno accordo:
da giorni infatti non vedea la luce
– colpa ne fu del mio cipiglio ingordo –

quello che 'l corpo al di fuori conduce.
Quale Tantalo per alto supplizio
fa svettar ciò ch'a valle si riduce,

ché fu etterna la colpa e greve 'l vizio,
così nel corpo mio tutto gridava:
"Tu saprai sì come nell'orifizio

non giunge quel che 'l profondo t'aggrava
se l'altrui piatto hai razziato con foga,
tal bestia immonda di stirpe e prava".

Ma mentre ciò soggiace e mi soggioga,
ecco apparir nella domus gremita
di grande folla che tutta l'affoga

un pitale – oh! In tutta la vita
mai ne vidi più benigno e grazioso –
che tutta la faccia avea rifinita

d'oro e d'argento, e d'ogni prezioso.
E lì la bella fiaba d'Eraclìto
venia contata al mio occhio bramoso:

un novo Lisippo vi avea scolpito
lo scorrere, sì ch'al corpo provato
scelta non era il ricusar l'invito.

E in quel dì, io lo scorrere ho amato».

CONTEST CONCLUSO - Otto Scribacchianti Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora