Astro Marino

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𝐀 𝐒 𝐓 𝐑 𝐈 𝐃



Ho sempre amato le rime baciate. Parole che si fondono nella stessa desinenza, fonemi che confluiscono nella medesima destinazione, armoniosamente. La semantica del mio nome non ha nulla a che fare con l'astrologia. Astrid vuol dire "cara a Dio", pertanto stabilisce un collegamento tra scienza e religione, in un certo senso. Gli astri solcano i nostri cieli come maestose e fluttuanti pietre brillanti, grossi corpi luminosi appartenenti alla sfera celeste, sotto la supervisione di un'entità maggiore. Mi piace credere che scienza e religione siano due facce della stessa moneta.

«Hai preso la borsa che ti ha regalato tua nonna?» Infilo l'ultimo boccone di pancake in bocca e strillo a mio padre un sì strozzato per via della foga. Farò tardi. Nel mio primo giorno di training io sarò in ritardo. Questa notte ho dormito relativamente poco, ero eccitata dall'idea di entrare nell'ospedale in veste di medico e non più di paziente. Ho delle aspettative molto alte, sono certa che i dottori che incontrerò saranno persone professionali ed empatiche come me.

«Acqua, cibo?»

«Sì, li ho presi.» Raggiungo la mia camera con il telefono incastrato tra la spalla e la guancia destra. Infilo tutto nella borsa e lancio un'occhiata all'orologio.

«Sonoancora le sei e venti, ce la farai... tranquilla tesoro.» Mi rassicura. Papà, adifferenza di mamma, spicca per pacatezza e rassicurazione. In qualsiasisituazione d'ansia, è la persona giusta da considerare per esseretranquillizzati. Beh, io sono il suo opposto: se il panico mi accoglie tra lesue grinfie non c'è verso che possa sfuggirgli. Afferro la borsa azzurra dalledimensioni di un sacco enorme e me la infilo a tracolla. Poi calzo le scarpenumero trentotto e saluto papà con un sorriso che non può vedere. Controllo diaver preso tutto e, sicura, esco di casa. Prima di cominciare a lavorare inospedale abbiamo deciso di affittare un appartamento nelle vicinanze dellostesso. Purtroppo, casa mia è davvero lontana dal luogo in cui passerò lamaggior parte del tempo e non avevamo scelta. L'alternativa era percorreretrentacinque minuti di metro ogni mattino, e altri dieci a piedi.

M'incamminoper la via che mi porterà dritto in ospedale, a passo svelto. La borsa pesadavvero molto e spero di potermi rendere conto che molte delle cose che mi sonoportata dietro siano superflue. Meno di cinque minuti e sono davanti allastruttura. È imponente, mi incute timore sulle prime. Resto intontita come unMoai sull'isola di Pasqua in proporzione all'altezza dell'edificio. Devo direche, nonostante sia sempre stata determinata, l'ansia mi influenza decisamentetroppo in ogni occasione. La luce solare comincia a riscaldare a poco a pocoquesta giornata e ad illuminare le finestre di vetro azzurro incastonate comepietre tra i rudimenti dell'edificio. Prendo coraggio, oltre a tre o quattrorespiri profondi, e attraverso le strisce pedonali, apprezzando i raggi solariche si adagiano sulla piccola aiuola che antecede l'entrata principale. Leporte elettroniche si aprono per farmi passare appena i sensori rilevano ilmovimento. Sono le sei e trentuno, ho sforato di un minuto l'orario prefissatoma, qui dentro, sembra tutto sveglio da un pezzo. Ci sono infermieri eparamedici che scorrazzano di qua e di là, dottori fermi a prendersi il primocaffè della giornata, per non parlare del brusio generale che regna nell'atrio.Subito vengo affiancata da un agente di polizia che mi fa prendere un colpo.

Quel che resta della notte - Everglow (DAL 14 NOVEMBRE IN LIBRERIA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora