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C'è stato un momento in cui ho avuto paura di perdermi. Mentre, con cura, esaminavo quale vestiario portare con me, ho avuto la sensazione di star cadendo nel vuoto. «Le armi non si portano» ha specificato il Rettore dell'Accademia Wilson, eppure sono le prime cose che ho messo, e poi tolto, nella valigia.

Ora sono ancora seduta sul tappeto della mia stanza, circondata da vestiti, accessori di vario genere, prodotti di benessere e di cura, e da qualche parte si può intravedere anche un briciolo di speranza di potercela fare.

I grandi cambiamenti mi terrorizzano. Dover riorganizzare tutta la mia vita, pianificare la mia quotidianità, dipendere solo e unicamente da me stessa... mi blocca i muscoli, il respiro, il fuoco che mi circonda il cuore.

Prendo un respiro profondo: non sono sola, non sono sola. Loris è lì che mi aspetta, insieme alle chiavi della mia stanza, il piano di studi, gli allenamenti all'aria aperta, i compagni nuovi, tre anni di formazione in una Dinastia in cui non ho mai messo piede in vita mia.

Mi guardo le mani: tremano ancora di più.

«Non riesci a preparare la valigia?» Lùthien compare alla porta della mia stanza. Mi guarda dall'alto con aria elegante, materna. Ha raccolto i suoi capelli castani in due lunghe trecce che le sfiorano appena il petto, e l'abito di seta bianco che indossa le ricopre il corpo fino alle caviglie.

Io raddrizzo la schiena e le orecchie a punta. Spalanco gli occhi, ma riprendo a respirare. Non riesco a calmarmi, non riesco a concentrarmi, non riesco a provare niente che non sia ansia, terrore e fallimento.

«Io non-» provo a schiarirmi la voce. «Io non so cosa portare con me.»

Lùthien accenna un sorriso e mi raggiunge, facendo attenzione a non inciampare tra le mille cianfrusaglie che ho disperso in giro come mine nel deserto.

«La Dinastia Riniya è, spesso, molto calda. Ma questo non darlo per scontato, ti accorgerai in fretta come l'inverno avanzerà lentamente. Portati qualcosa di leggero, avrai tutto il tempo per comprarti qualcosa di più pesante... ecco, guarda.»

Con delicatezza recupera da terra un paio di jeans, alcune canottiere e mezze maniche. Poi si allunga per afferrare dei vestiti di seta bianchi e dorati, una gonna di velluto nera non troppo lunga, felpe di vario genere, una giacca in pelle...

«Ho capito. Posso continuare sola.» arresto la sua gentilezza bloccandole, per un millesimo di secondo, la mano ancora a mezz'aria. I suoi occhi bianchi incontrano i miei rosso sangue. Il suo profumo fresco che mi ricorda il vento invernale, si scontra con l'odore delle ceneri che mi porto dietro. Siamo aria e fuoco, Fàna e Carnè che si guardano dritte negli occhi senza battere ciglio.

Ho sempre ammirato Lùthien, le sue labbra a cuoricino e la sua pelle liscia, priva di imperfezioni. Il modo in cui pronuncia le parole, delicate e leggere, il suo essere sempre sul pezzo, pronta a tutto.

«Tremi.» lo dice quasi sottovoce. Seguo il suo sguardo puntato sulle dita delle mie mani, che sembra esaminarmi in ogni più piccolo dettaglio.

Ritiro la mano di scatto, portandomela al petto. «Ho preso freddo durante la corsa, e non ho avuto tempo di scaldarmi.»

Lùthien non mi crede. Rilascia un lento e intenso sospiro. Non si è bevuta la mia menzogna, ma come posso andarle contro. Una Carné domina il fuoco, la sua capacità di scaldarsi è molto più veloce rispetto agli altri quendiani. E poi, siamo appena entrati nella stagione autunnale, ma questa è la prima scusa che mi è venuta in mente.

«Hai paura?» mi chiede, senza guardarmi. «È per questa ragione che non smetti di rabbrividire? Pensi di non potercela fare e subito ti etichetti come il più grande fallimento di te stessa.» ecco che torna a squadrarmi dalla testa ai piedi, rimanendo seduta composta. «Dimmi se sbaglio.» continua poi, con un sopracciglio alzato.

Nel cuore di AlteaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora