VII. Il potere dell'aiutante

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Una volta escogitò un'ottima soluzione –

a suo avviso.

- Fiabe islandesi



Regina era stanca. Non solo quella era stata una lunga giornata, ma evitare lo sceriffo Swan per quasi un'intera settimana era stato più difficile del previsto. Ed era tutta colpa di sua sorella. E delle sciocchezze che uscivano dalla sua bocca la maggior parte delle volte in cui parlava.

A Regina non piaceva Emma Swan.

Aveva scoperto che lo sceriffo Swan era una persona tollerabile, a tratti persino divertente? Sì, certo. Ma questo non voleva in alcun modo dire che a lei piacesse Emma Swan. E poi, in tutta onestà, lei non aveva tempo per queste cose in ogni caso. Aveva un figlio e una città da amministrare e questi, il lavoro e Henry, erano più che sufficienti a riempirle la vita. Era... contenta, Regina. Aveva una vita piena. Aveva un suo equilibrio. Non cercava nulla, non desiderava nulla, aveva già tutto quello di cui aveva bisogno. Certo, da quando Graham se ne era andato la sua vita sessuale ne aveva risentito, ma non lo considerava un aspetto essenziale della sua vita. Al contrario, non perdeva una notte di sonno da mesi, il che giovava alla sua salute.

Eppure, quando si addormentava, la sera, erano gli occhi verdi di Emma Swan che vedeva nel buio della sua camera. E questo non andava bene. Prima di incontrare nuovamente lo sceriffo, doveva togliersi dalla mente quel ridicolo tarlo che Zelena vi aveva messo, per poter essere lucida e razionale sul prossimo passo da compiere. Il fatto era che non era più così sicura di voler cacciare Emma. Certo, aveva promesso a Henry che avrebbero trovato un modo per collaborare l'una con l'altra, ma non era solo questo...

All'improvviso, dopo quella cena, tutte le piccole cose che la infastidivano di Emma Swan – e non erano poche, Regina aveva una lunga lista – non erano più così fastidiose come credeva. Si era perfino abituata a vedere in giro per la città quell'assurdo Maggiolino giallo, una nota di colore e ruggine tra il cemento dei marciapiedi e l'asfalto delle strade.

E poi, in qualche modo, sentiva di poter credere allo sceriffo Swan quando le aveva detto di non volere altro che la tranquillità di Storybrooke. E quel loro breve scambio, in cucina, dopo la cena... Regina rabbrividì al pensiero. Non sapeva in che modo, ma quella donna era riuscita a leggerla senza problemi, facendola sentire vulnerabile, sì, ma non in pericolo. Era stato quello a spingere Regina a offrirle il sidro di mele.

Ma poi...

Regina si passò una mano tra i capelli, scosse la testa. Doveva smetterla di pensare a Emma Swan. La rendeva distratta, ecco quanto. Erano ormai dieci minuti che cercava il proprio cellulare per tutta la casa e non riusciva a trovarlo. Dopo aver guardato in ogni angolo del piano inferiore, salì le scale. Aveva messo Henry a dormire poco prima, perciò cercò di muoversi il più silenziosamente possibile. Non c'erano tracce del cellulare nella camera da letto padronale e nemmeno nel bagno. Tornando sul pianerottolo, facendo mente locale per provare a ricordare dove lo avesse visto l'ultima volta, Regina sentì il bisbigliare concitato di suo figlio da dietro la porta chiusa della sua stanza. Regina si accigliò. Sapeva che Henry non sempre si metteva a dormire quando gli rimboccava le coperte, perché spesso rimaneva sveglio a leggere, ma... Con chi stava parlando?

Incuriosita, una punta di preoccupazione, Regina si avvicinò alla stanza del figlio. Aprì piano la porta, sbirciò all'interno. Henry era seduto a gambe incrociate sopra le coperte del letto, sorrideva. All'orecchio, il cellulare di Regina.

In quel momento, il bambino si accorse di lei. «Oh-oh» disse, l'espressione colpevole.

«Cosa sta succedendo?» domandò Regina, il tono severo. Aprì del tutto la porta, le braccia incrociate al petto.

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