Capitolo 0 - parte 1

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Un anno prima

«Allison, due birre al tavolo 7. Corri!»

La voce di Mike mi arrivò squillante e colma di impazienza. Lasciai scivolare il panno che avevo tra le mani -con cui stavo pulendo dei bicchieri- e mi chinai sotto il bancone per prenderne due birre dal frigo. Sollevai velocemente i tappi con un apribottiglie e mi affrettai a portarle al tavolo 7, dove due uomini mi aspettavano, scrutandomi fastidiosamente.

Ero abituata agli sguardi dei clienti, era per questo che Mike mi aveva assunta, per ammaliarli e tenerli più a lungo seduti a quei sudici tavoli di legno ad ordinare da bere fino a perdere conoscenza. Non che a me piacesse, ma avevo deciso di mettere da parte dei risparmi e, impegnata come ero per l'università, un lavoro notturno era la migliore opzione che avevo potuto trovare. 

I due uomini, avevano almeno cinquant'anni l'uno, con i capelli tinti ingellati all'indietro, coperti dalle loro canottiere bianche sporche di solo Dio sa cosa ed i pancioni pelosi che ne sporgevano minacciosamente. «Che ne dici di farci un giro, io e te?», l'uomo alla mia destra prese parola invitandomi ad uscire. Era stato almeno il decimo invito nelle ultime due ore di lavoro.

Sorrisi gentilmente, «Mi dispiace, Frank -avevo scoperto questo fosse il suo nome- non posso. Stanotte ho il turno fino a tardi.»

«Beh, allora potremmo uscire un'altra volta. Quando vuoi, piccola», mi mandò un bacio che, suppongo, dovesse essere "provocante" nella sua testa. Trattenni la mia espressione disgustata, nascondendola con una risatina. «Se avrete bisogno di qualcos'altro mi troverete al bancone», mi dileguai prima che potessero replicare e tornai alla mia postazione sicura, lontana dagli aliti pesanti di quei bisonti ubriachi.

Mi guardai intorno, osservando le persone sedute al bar. Erano sempre le stesse, conoscevo le loro storie a memoria. Matrimoni falliti, lavori falliti, relazioni fallite. Gente fallita con una vita fallita. Tutti loro si ritiravano dentro questa buia taverna per "dimenticare", ma la verità è che nessuno aveva mai dimenticato, altrimenti non avrei rivisto le loro facce ogni sera, qui.

Mi facevano pena, era questa la verità. Da quando lavoravo per Mike avevo capito che i bar non piacevano affatto, non per gli sgradevoli uomini ubriachi, ma per la loro resa nei confronti della vita. Erano tutti uomini che dicevano di aver vissuto la guerra senza mai essere scesi in campo per paura di lasciarci il culo. Vigliacchi, ecco cos'erano.

«Hey, come sta andando il turno?», la voce inconfondibile di Sam mi fece abbandonare i miei pensieri. «Lo vuoi sapere d'avvero?», sorrisi esausta al mio collega.

Lui mi guardò increspando le labbra e scuotendo la testa divertito. «Scommetto dieci dollari che Jeff stasera troverà il coraggio di invitarti a cena», disse lui tendendomi la mano destra.

«Andata» risposi io, stringendogliela.
Jeff era un assiduo frequentatore di questo posto ed ogni sera, prima di andare via, si avvicinava a me per invitarmi a cena ma, timido come era, finiva sempre per correre via con le guance rosse di vergogna. Questa scena faceva sempre ridere me e Sam anche se, lo ammetto, a volte mi sentivo un po' cattiva con il povero Jeff.

«Allora, come è andato l'appuntamento di ieri?» chiese il mio amico, avvicinando a sé un barattolo di pistacchi, ne prese uno e forzò il guscio fino a romperlo per poterne mangiare il frutto.

I ricordi della sera precedente mi tornarono alla mente e per un attimo desiderai dimenticare ogni cosa. «É stato mostruoso, Sam. Quel ragazzo era un gran maleducato! E gli puzzava l'alito».

«É andata così male?» rise lui, di gusto.

«"male" è riduttivo. Ha farneticato idiozie su idiozie. E poi non ha mai visto neanche un Harry Potter!», esclamai all'ultimo, sconcertata, «Come potrei mai stare con uno così?» chiesi retoricamente.

«Non ha mai visto Harry Potter?» stavolta fu il suo turno di sgranare gli occhi, lasciando che un pistacchio gli cadesse dalla bocca.

Annuii disperatamente, «Già».

Sam era praticamente l'unico amico che avessi, la mia spalla su cui piangere, ecco. Lui era un tipo forte, avevamo gli stessi gusti, ci trovavamo bene insieme. Ed il lavoro, con lui, era senz'altro migliore. Era poco più grande di me, si era laureato in fisica ed aveva seguito l'amore della sua vita fino in America, poi aveva scoperto che gli faceva le corna con il suo capo; quindi, oltre alla fidanzata, aveva perso anche il lavoro e così si era ritrovato dietro il bancone, con me.

«Dobbiamo trovarti un altro spasimante» pronunció in tono solenne.

«Nah, io ho già te, non mi serve un fidanzato» ridacchiai tirandogli un pugnetto sulla spalla. Lui arrossí dolcemente e: «Domattina vado da mia mamma, pranziamo insieme e credo le farebbe piacere ci fossi anche tu. Ti va di venire?», chiesi cambiando discorso.

Non fece in tempo a ripondermi che la campanella della porta tintinnó, attirando la mia attenzione.

L'uscio di un legno vecchio scricchiolò facendo girare qualche cliente curioso ed un ragazzo dai capelli ricci e neri, con una strana espressione in volto, varcò la soglia avanzando fino agli sgabelli davanti al bancone. Si sedette pesantemente, sbuffando e stropicciandosi il viso come se non dormisse da giorni.

Poggió i gomiti sul tavolo lasciandovi cadere sopra le braccia e mi guardò, in silenzio, ma solo per pochissimi secondi; subito dopo l'angolo della sua bocca si increspò in un accenno di sorriso. Pensai volesse fare qualche sgradevole commento sul mio conto, esattamente come tutto il resto dei clienti e invece: «Un bicchiere d'acqua, per favore», disse.

Hooked Up - Il destino di noi sciocchi / HSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora