2. Uno strano simbolo evanescente

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Dave afferrò la mano di Helen e la trascinò via dal locale, mentre gridava a Carol di seguirli.

«Dove stiamo andando?» chiese Helen «Non puoi dirmelo qui?» insisté lei, cercando di farlo rallentare tirando leggermente indietro la mano con cui la teneva.

Dave scosse la testa «no, a casa ho varie informazioni in merito, ho fatto delle ricerche, voglio farvele vedere. E per giunta dobbiamo anche studiare, a casa mia saremo più comodi» le rispose mentre ripercorrevano Tottenham Court Road nella direzione opposta rispetto all'andata.

Carol, che era rimasta indietro, iniziò a gridare ai due frasi incomprensibili, rese tali dal rumore incessante della città in piena attività. Quando si accorse che non riuscivano a sentirla si mise a correre cercando di raggiungerli, mentre Helen e Dave svoltarono sulla prima strada a destra, Great Russell Street, la via della casa di Dave.

Viveva da solo in quel piccolo appartamento ormai da un anno, ma da quando si era messo con Sharon lo condivideva con lei. Era un modesto monolocale che i genitori gli avevano regalato per celebrare i suoi 18 anni d'età.

Si affacciava sull'angolo sinistro del British Museum, accanto ad un piccolo negozio di abbigliamento femminile, l'Highland Store, che teneva in esposizione abiti molto particolari e in cui Helen era solita andare prima o dopo essere stata a casa di Dave.

Lei amava quella casa, seppur non molto grande era comoda, semplice ed accogliente, aveva tutto quello di cui si può aver bisogno, tutto l'essenziale. Ma Helen l'adorava soprattutto per un'altra peculiarità: si affacciava su uno dei musei più famosi al mondo, le bastava buttare uno sguardo oltre la finestrella situata in cucina, o affacciarsi dal piccolo balconcino presente nella camera da letto di Dave per ammirare una delle mete turistiche più ricercate in tutto il mondo.

Quando stava lì si sentiva a casa, in un luogo sicuro, una sorta di rifugio nelle notti burrascose, infatti spesso se non riusciva a tornare a casa sua a causa dei dissapori con la madre, si fermava da loro a dormire e Dave e Sharon l'avevano sempre accolta a braccia aperte, con calore.

Era molto affezionata a quell'appartamento.

Dave stava camminando a passo affrettato, dettando un'andatura troppo veloce per le due ragazze, che non avevano le gambe abbastanza lunghe per effettuare una falcata come quella di Dave, il quale già in lontananza riusciva a scorgere il magnifico museo, saturo della sua consueta folla.

Anche la via principale era colma di gente proveniente da ogni dove, ma le ragazze, che solitamente trovavano difficoltà a farsi strada tra i turisti per arrivare sino al portone di casa di Dave, seguendo la sua massiccia sagoma, giunsero senza troppi spintoni dinnanzi al portone d'ingresso del monolocale; una bella porta antica, nera, con sopra un grande 66 di bronzo, dava loro il benvenuto.

Dave, una volta aver inserito le chiavi nella toppa ed aver sbloccato la serratura, entrò nell'androne lasciandosi la porta aperta dietro le spalle per far entrare anche le amiche.

«Fai attenzione quando chiudi la porta stavolta, lo sai che il portone è vecchio, devi spingere bene».
«Uff, te lo devo ripetete ogni volta» disse lui guardando Carol.

«Non è colpa mia però!» sbuffò a bassa voce mentre provava a chiudere la porta, «è troppo pesante per me, non ci riesco!».

Dave, che aveva già percorso la prima rampa di scale insieme ad Helen e stava per aprire la porta del suo appartamento si girò verso Carol e disse volgendo gli occhi al cielo: «dai Carol, devi solo spingere, che diamine, non farmi tornare indietro ad aiutarti e sbrigati che sto per aprire la porta, se scappa di nuovo Undi siamo nei casini».

La città eterna e l'anatema del tempoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora