L'incubo

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Una piccola fatina, che auto produceva una luce tre volte più luminosa della lampada a led che illuminava la stanza, apparve davanti a Chiaki.

Aprì le braccia, come se la volesse in qualche modo proteggere da un improvviso attacco dei giocattoli.

- Chiaki, non puoi svanire. Capisci? Il tuo creatore ha faticato tanto prima di poterti dare un'anima e tu non puoi sprecare il tuo tempo. Esci da questa casa, e salvati! Trova qualcuno che possa prendere cura di te. - disse la fata mantenendo la posizione di difesa.

- Non è giusto! Anche noi dobbiamo vivere come lei! Il creatore ci ha abbandonati! Ci ha lasciati soli! - disse lo schiaccianoci mentre gli altri annuivano alle sue parole.

Chiaki intanto, uscì dalla stanza, ritrovando di fronte a sé un corridoio buio che sembrava infinito. Il suo viso rimase impassibile alla vista di tutto quel nero che sembrava non finire mai. Cominciò a camminare, e più avanzava, più veniva inghiottita da tutto quel nero. Dietro di lei sentiva ancora la voce dell'anima dello schiaccianoci. Anche gli altri giocattoli diventavano sempre più scontrosi e più adirati. La voce della fatina non la sentiva più, ma il fatto che nessuno di loro fosse uscito da quella stanza bastava per capire che era ancora viva e vegeta.

Intanto, il corridoio sembrava non finire mai. Chiaki non poteva vedere dove stesse andando e sembrava non esserci altro punto di riferimento che i due muri stretti, il soffitto alto e il pavimento. Il buio inghiottisce tutto e lo nasconde agli occhi: la luce è la nostra unica salvezza.

Tutto d'un tratto sentì qualcuno o qualcosa vicino a lei. Sicuramente doveva essere una bambola o un giocattolo che era riuscito a fuggire dalla stanza, a giudicare dal vibrato incostante che produceva, amplificato da un eco lontano e spaventoso. Chiaki continuò a camminare impassibile. Come reagì l'ignorato? Si arrabbiò: decise che avrebbe giocato con la sua percezione, e che le avrebbe tolto la possibilità di camminare se non lungo quel corridoio infinito.

Chiaki camminava ancora e ancora. Non sentiva più voci turbolente provenire da quella stanza. Riuscì a sentire però quella della fatina per qualche istante.

- Ascoltami bene. Un'anima irrequieta ti sta facendo perdere il sentiero. Per la stanchezza, ti farà cadere in uno stato di sonno profondo. Se riuscirai ad uscire dal sogno che ti proporrà, potrai farle fare quello che vuoi, persino farla scomparire - le sussurrò.

La nostra bambola continuava a camminare tranquilla, quando inciampò su un qualcosa. Dato che era tutto buio, non riuscì a capire cosa fosse, ma intuì che quello era l'inizio del sogno preannunciato dalla fata.

Si rialzò.

Non vide più il buio di fronte a lei, ma un bellissimo paesaggio.

C'erano fiori, colline, prati che sembravano infiniti, un fiumicello abitato da pesci e un cielo azzurro bellissimo.

Nonostante tutta quella bellezza, non fece trasparire alcun tipo di emozione. Rimaneva impassibile. Sembrava non avere la facoltà di mostrare sentimenti.

Poi, qualcosa cambiò di botto.

Sentì un rumore che sembrava generarsi nelle sue orecchie. Un rumore stridulo, che variava di intensità velocemente, mischiato al suono che produciamo quando si inghiottisce la saliva, ma tre volte più forte.

Il paesaggio scomparve. Al suo posto, solo lei in piedi ad un letto e tutto attorno tanti giocattoli dagli occhi rossi. In quel letto, trovò un pupazzetto.

Aveva i capelli arancioni, un occhio fatto con un bottone rosso e una croce al posto dell'altro. Era tutto verde e cucito in modo molto semplice. Lo strinse tra le sue braccia e rimase a guardare il vuoto, incurante dei fantasmi che le vagavano intorno.

Il pupazzo non parlava, ma sembrava l'unico a volerle bene lì dentro. Lui poteva vedere il suo volto, andare oltre l'apparente apatia. Vide il suo cuore: aveva paura. Chiedeva aiuto alla fata, cercava di trovare una via di scampo. Tremò con il suo battito, strinse per quanto poteva le sue braccia soffici su quelle di plastica della sua nuova amica.

- TRADITORE! TRADITORE! - urlarono delle bambole rotte distese per terra. Volevano ucciderlo, entrare dentro di lui e mangiarlo, come il buio mangia tutte le cose. Ma il pupazzo non si mosse di un millimetro, e neppure Chiaki.

Chiaki si ricordò di essere in un sogno. Guardò alla sua destra.

Fissò un punto del piumone.

Proprio lì apparve una candela accesa.

Il buio si illuminò.

Si svegliò, e si ritrovò a terra, con il pupazzo gentile davanti a sé. Si alzò e lo strinse forte a sè. L'andito era ora ben illuminato dalle varie luci che c'erano nel soffitto.

Davanti a sé una porta, uguale a quella da dove era uscita dalla stanza del suo primo risveglio, la invitava con il suo bianco candido ad entrare.

Il pupazzo si mosse e l'abbracciò forte.

Le voleva bene, e l'avrebbe aiutata a comunicare le sue emozioni.

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