La vita è una sola, ci metterà sempre di fronte a difficoltà, dolore, gioie, malinconia, odio, amicizie e amori. Io la mia l'ho vissuta in pieno senza mai pentirmi di nessuna mia scelta, realizzando i miei sogni e trasformando il mio idealismo in una vera e propria rivoluzione per ciò che mi sta più a cuore.
29 aprile 1924
Alle 16.56 di un martedì normalissimo eccomi appena venuta alla luce, una bambina di kg 2,897, appena separata dal ventre materno per dare inizio a una vita piena di tante emozioni e cambiamenti. Durante il mio primo pianto non avrei mai immaginato che avrei sofferto così tanto durante la mia esistenza, ero ignara di tutto ciò che mi aspettava. Purtroppo mia madre morì durante il parto, che non fece nemmeno in tempo di dire alle dottoresse, infermiere ed ostetriche il mio nome. Mio padre aveva abbandonato mia madre perché la mia nascita non era voluta e anche perché erano molto giovani: avevano solo 14 anni. Di lui non c'è traccia, sembra sparito nel nulla. Così il mio nome fu deciso dell'ostetrica che fece partorire mia madre: Alva Carmelita Lidia Magdalena Rodríguez. Tutti nomi spagnoli visto e considerato che mia madre aveva origini spagnole, ma appena aveva saputo che era incinta di me è venuta negli Stati Uniti in modo clandestino per scappare da tutti i pregiudizi che avevano su di lei. Se fossi stata in lei non lo avrei mai fatto, soprattutto a quella età, ma è stata coraggiosa e forte, molto forte.
Per mia madre non ho mai versato una lacrima, nemmeno da bambina, non l'ho mai conosciuta e non so niente di lei, ho solo una piccola foto con su scritto il cimitero in cui è sepolta, nient'altro, per me è meglio così. Non devo soffrire per una persona che mi riteneva un errore.
La nonna non ne voleva sapere niente di me: quando le infermiere la chiamarono e le dissero che mia madre era morta la sua risposta fu:
"Portatemi il cadavere di mia figlia, ma di quell'essere spregevole che ha dato alla luce non ne voglio sapere niente, rinchiudetela in qualche istituto." prontamente l'infermiera disse:" Ne è proprio sicura?" e lei disse:" Certo" Mia nonna era una donna giovane, piena di energie, poteva usare me per colmare il vuoto che aveva per la morte di mia madre, ma non lo fece e mise sangue del suo sangue in un istituto di adozione dove solo Dio sa cosa facevano ai bambini come me. Dopo 3 giorni dalla mia nascita fui portata in un istituto nella stessa città in cui sono nata cioè a Burlington. Avevo delle calze a maglia bianche, dei sandali neri, un vestitino rosa con il colletto bianco e il resto rosa, aveva dei volant che lo rendevano più particolare. Avevo un cappotto beige e un cappellino in pizzo rosa. Mi avevano messo in una carrozzina marrone in legno e avevo 2 coperte: una bianca con le frange in lana e una beige con un ricamo sopra.
Due infermiere mi portano nell'istituto con una carrozza. Dopo 10 minuti la mia vita cambiò. Chiunque ora poteva essere la mia famiglia, dalla famiglia migliore al mondo a delle persone che appena cresciuta avrebbero approfittato di me. Il cancello d'ingresso era in ferro arrugginito, il tempo era nuvoloso, l'erba bagnata ed ad aspettarmi c'erano 2 suore, visto che questo era il noto Center of Adoption and Christian Fostering of the Sister of Burlington, detto anche il CACFSB. Le infermiere non sapevano che mia madre era ebrea, tanto meno io, quindi non si preoccupano di cercare un istituto che andasse bene per qualsiasi fosse la mia religione, la scelta però era solo ed esclusivamente nelle mie mani: quando avrò avuto l'età nella quale sarò abbastanza matura per fare una decisione così importante avrei deciso quale strada seguire, indipendentemente dall'istituto nel quale mi sarei trovata.
Mi misero nel nido e mi diedero il latte.
Proprio il primo giorno che io arrivai in quel posto arrivò una coppia molto giovane che desiderava avere dei figli, ma non potevano. Volevano un neonato maschio, per neonato intendevano una bambino appena nato proprio come me. Le suore li accompagnarono nel nido, ma di neonati maschi non c'era traccia. C'ero solo io. Le suore cercavano di convincerli che anche una femmina, se ben educata, sarebbe stata all'altezza di un maschio. Loro erano dubbiosi, ma alla fine decisero di prendere me. Appena entrati nell'ufficio delle suore le avviasarono che mi volevano prendere in affidamento, per vedere cosa si provava ad essere genitori, e sopratutto genitori di una bambina. La suora disse che non c'era nessun problema, firmarono tutte le carte e pagarono. Portarono su 7.000€ convertiti alla moneta del momento, ma ne pagarono solo 6.000 perché ero una femmina. Il giorno dopo all'alba sarebbero tornati a prendermi per portarmi nella loro casa. E così fu.
Mi misero nella carrozzina con le coperte, mi portarono in macchina. So solo questo perché dopo soli 4 giorni mi riportarono nell'istituto. Non si sentivano pronti ed essere genitori: questa fu al scusa che dissero alle suore. La mia vita là era normale tranne per il fatto che non avevo genitori. Mangiavo e dormivo. Appena ebbi compiuto 4 mesi mi diedero la mia prima pappetta: puré di patate. Mi misero sopra un seggiolone in legno di un colore chiaro. Da dietro c'era una suora che mi teneva la testa visto che non ero molto stabile e un'altra distrandomi con una bambola in pezza fatta con una stoffa di colore viola, mi faceva mangiare. La usavo anche per dormire: era il mio unico gioco.
Dopo un po' io iniziai a tenere la testa dritta da sola e le suore iniziarono a darmi carne. Giocavo, mangiavo, apprendevo e dormivo. Tutto normale. Intorno agli 8 mesi iniziai a gattonare.
Gironzolavo in tutto l'istituto. Le suore mi rimproverano, l'unica che non lo faceva era sorella Dionne. Mi descrivevano come una peste.
Era arrivato Natale, per me non cambiò nulla tranne il fatto che mi regalarono degli anfibi neri in vista della stagione invernale e anche perché tra un po' avrei imparato a camminare. Dopo esattamente 5 mesi, mentre come mio solito gattonavo, misi la mano su un tavolino e iniziai a camminare le suore contente dissero: "Bravissima Alva!" mi chiamavano Alva perché era il mio primo nome, io non mi potevo esprimere quindi fino a quando non avrei saputo parlare io sarei stata Alva. La mia prima parola che io dissi a differenza di tutti i bambini che dicono o mamma o papà la mia è stata Sorella. In effetti loro erano i miei genitori che non avevo mai avuto. Erano severe, autoritarie e acide, ma erano le uniche persone che anche se infondo, molto infondo nel loro cuore provavano almeno un po' di affetto verso di me.
STAI LEGGENDO
I can do it.
RandomTERMINATA MOMENTANEAMENTE Tutto quello che si deve sapere sulla vita, ma su una vita speciale. La vita di chi non si è arreso alle difficoltà e ha come motto " lo posso fare". Una cosa particolarmente importante che tengo a specificare è che i capi...