Capitolo Due: Ambiguità

0 0 0
                                    


Ripley varca la soglia della cuccetta che Call ha rivendicato, la ragazza le da le spalle, sosta ferma davanti al lavandino del piccolo bagno, il suo giubbotto scuro giace ai suoi piedi, ha il bordo della maglia sollevato fin quasi alle scapole, il capo chino. Sta esaminando il buco aperto nel suo addome, non si è accorta di lei. "Per la miseria, se è minuscola!", esclama palesando la propria presenza. La giovane sobbalza, colta di sorpresa, e in un gesto istintivo le sue dita si stringono sul bordo della t-shirt, tirandolo verso il basso. Un moto di tenerezza vela l'espressione del clone, che si chiude silenziosamente la porta dietro e con un gesto fluido si libera a sua volta della pesante giacca in pelle, fradicia di sudore, sporca di sangue e scivolosa per la melma viscida degli xenomorfi. Osserva l'androide, bloccata nella stessa posizione in cui l'ha trovata, tranne per la testa, leggermente voltata di lato, come se volesse controllare i suoi movimenti con la coda dell'occhio. Deposita sul piccolo scaffale lì vicino i due kit che le ha dato Vriess, trova un gancio dove appendere l'indumento che tiene in mano, poi si avvicina lentamente, la vede irrigidirsi, ma decide di non farglielo notare, dandole ancora qualche attimo, traccheggia allungando un braccio verso terra, raccoglie l'altro giubbino e lo aggancia sopra al suo.

Con in mano uno dei due involucri, le si avvicina nuovamente, questa volta decisa a coinvolgerla, "Su, vieni.", le dice con fare casuale, le punte delle sue dita si posano delicatamente su quelle dell'altra e poi scivolano a cercare una presa più salda, ma sempre gentile. La giovane si fa trascinare senza opporre resistenza, Ripley la fa sedere sulla piccola branda e col palmo della mano la guida affinché si sdrai. Un'espressione meravigliata si dipinge per una frazione di secondo sul volto dell'androide e decide di alleggerire l'atmosfera con una risata pacata. "Sul serio?", scherza alzando gli occhi al cielo. Appoggia lì vicino la scatola con l'occorrente, di modo da chiarire le proprie intenzioni. "Dove l'hai trovato?", domanda sorpresa l'altra. "Me l'ha dato Vriess.", risponde, indecisa se aggiungere altro o meno.

Infine le sue dita raggiungono il bordo della maglia, si ferma, "Posso?", domanda. "Tutta questa premura non ti si addice.", commenta la giovane per scacciare l'imbarazzo, si solleva l'indumento fino a scoprire la zona colpita dallo sparo. Osserva gli angoli della sua bocca arricciarsi in un mezzo sorriso, e il suo sguardo concentrato sull'area danneggiata, le sue lunghe dita sfiorano la pelle intorno al foro, e il contatto le provoca un involontario guizzo all'addome. La donna apre il kit, ne svuota il contenuto sul materasso, e si mette a sfogliare il manuale. Call seguita a guardarla in silenzio, pensa a come sia capace di cambiare atteggiamento nel giro di secondi, da creatura minacciosa ad amorevole e riguardosa. Per non parlare della sua ambiguità! La prima volta che l'ha vista, flirtava sfrontatamente con Johner, poi ha iniziato a prendere di mira lei. Per fortuna le ha risparmiato le botte da orbi che invece sono toccate a quel troglodita, per il momento, almeno. La battuta allusiva di prima l'ha messa terribilmente in imbarazzo, oltretutto, ed è indecisa se è per la battuta in sé, o per il fatto che sia stata fatta in presenza di altri individui, come se l'avesse reclamata di sua proprietà. Non è sicura di voler essere rivendicata come di proprietà di qualcuno. Nemmeno di lei.

"Scusa per prima.", Ripley rompe il silenzio all'improvviso, spiazzandola per aver indovinato i suoi pensieri. "È tutto a posto.", risponde in tono sbrigativo. "No, non è vero...", la donna la canzona senza ombra di accuse nella voce. "Dai, sputa il rospo, me lo merito...", ammette in tono collaborativo, lo sguardo che scandaglia la stanza alla ricerca di una luce. Call indovina ed estrae dalla tasca una piccola torcia, "Brava ragazza! Fammi luce.", e mentre Call allunga il collo per assicurarsi di dirigere il fascio luminoso dove serve, Ripley, con gesti delicati, esamina attentamente il danno, sporcandosi le dita del liquido lattiginoso che scorre nel corpo della giovane. "La torcia t'impegna le dita, non la lingua.", insiste pacata alla ricerca di un dialogo sincero. "È che... sei sempre così ambigua...", la giovane afferma con un velo di reticenza. Scruta il clone, alla ricerca di una manifestazione negativa, ma la donna continua a lavorare con abili mani, individuando ciò che va sostituito e ciò che va riparato, "Non abbiamo un paio di pinze, vero?", Call scuote la testa in segno di diniego, "Devo trovare il proiettile.", la informa, "Tu... lo senti?", lei le indica il punto nel quale il corpo estraneo si trova. "Cercherò di farlo più delicatamente e velocemente possibile.", la rassicura, aspettando un cenno di via libera prima di proseguire. Un lungo momento di silenzio cala tra le due durante la delicata estrazione. Finalmente la donna le mostra trionfante l'enorme pallottola con l'ogiva deformata e torna immediatamente a focalizzarsi sull'operazione.

"Vorrei poterti spiegare perché mi comporto come mi comporto, ma, onestamente, non lo so. Non so quanto del mio agito sia nel mio patrimonio genetico umano e quanto dipenda da... loro.", parla lentamente, nel tentativo di scegliere accuratamente le parole più adatte per esprimersi. L'attenzione di Call si concentra sul suo viso spigoloso, che esibisce le prime, lievi rughe dell'età matura, e che sono proprio ciò che dà carattere ai suoi lineamenti. Il fascio della torcia perde la sua efficacia, Ripley è costretta a fermarsi, guidando delicatamente la mano della giovane affinché la luce le permetta di riprende a lavorare.

"Il mio comportamento è stato ambiguo in quella palestra con Johner, ho capito che tipo era non appena ha aperto bocca e volevo dargli una lezione.", precisa, la sorgente luminosa perde ancora la mira. Lei la tocca di nuovo e questa volta si ferma e la guarda negli occhi. "Ma ambigua non è il termine che userei per descrivermi, se penso ad alcuni miei comportamenti nei tuoi confronti. Sfacciata, decisamente sfacciata. Troppo, il più delle volte, come prima. Cavolo, sembravo proprio Johner, vero?!", ironizza, in attesa di una reazione. La vede sorridere e arrossire contemporaneamente. Parte di quella sfrontatezza, che probabilmente si ritrova come bagaglio genetico più alieno che umano, le dà la certezza che l'interesse che prova verso la giovane non è a senso unico. Ha potuto testare le sue reazioni a ogni provocazione che le ha lanciato. Pensa che non ci sia momento più adatto per tirare fuori quello che sta sperimentando dentro di sé.

Distoglie lo sguardo dai suoi lineamenti delicati e si dedica a collegare l'ultimo pezzo di ricambio, "Tu mi piaci, Call. Te lo dico in poche parole. Come sei fatta dentro non ha alcuna importanza. Sei sensibile, premurosa, curiosa, e imbecille!", conclude, scherzando sull'aggettivo con cui l'ha descritta nella cappella dell'Auriga, e che l'aveva fatta ridere con un'espressione che vuole rivederle in volto in questo istante. Speranzosa, l'adocchia di nuovo, contenta di vedere ciò che vede, "E che io sia dannata nell'inferno dei cloni se anche tu non provi interesse per me.", la sfida muovendo il proprio busto nella sua direzione. Non abbastanza da invadere il suo spazio, ma abbastanza perché il concetto espresso acquisti di valore. Non si aspetta una risposta, ha imparato a conoscere le sue reazioni da sapere che deve valutare queste informazioni in maniera più concreta di lei.

Torna a dedicarsi al suo compito, ormai quasi completato. Si dirige in bagno, inumidisce una salvietta e torna da lei. Inizia a ripulire la zona attorno al foro, ormai completamente drenato dall'emorragia causata dallo sparo, nota il fluido bianco scorrere nelle vene artificiali che ha appena sostituito, si assicura che non ci siano perdite. La spugna passa sulla pelle e porta via lo sporco accumulato nelle ultime, frenetiche ore.

Quasi subito un groppo alla bocca dello stomaco le mozza il respiro. S'impone di continuare il suo compito, chiude gli occhi per un secondo, sperando di riacquistare il controllo. "Ripley, che succede?", Call nota la sua espressione mutare all'improvviso, i movimenti della sua mano nell'atto di detergerle la zona trattata si fanno incerti, la donna chiude gli occhi una volta, li riapre, sbatte freneticamente le palpebre e poi le serra di nuovo.

Nella sua mente, il clone vede chiaramente il volto rotondo di un bambina. I suoi capelli chiari sono tutti scarmigliati, il suo sguardo perso nel vuoto, una mano che lei identifica come la propria sta pulendo quel visino denutrito, spaventato, spaesato e annerito dallo sporco. Un dolore e una rabbia mai sperimentati s'impossessano del suo torace, stringe l'asciugamano umido tanto forte da farlo gocciolare sull'addome dell'androide. Call le prende la mano con entrambe le sue e la risveglia quel tanto che basta per strapparsi da quel contatto. "Stammi lontana!", ansima, si alza con uno scatto, indietreggia fino a sbattere contro la parete alle sue spalle, per il folle timore di poterle fare del male. "Ripley?!", Call si solleva a sedere, la salvietta umida premuta sul foro ancora aperto, preoccupata e confusa. "Non ti avvicinare!", l'ammonisce l'ibrido cercando di mantenere una radice di lucidità nell'uragano di furia e dolore che le cresce dentro. Gli occhi sbarrati, il fiato corto. "Puoi finire da sola?", le domanda con l'ultimo sprazzo di nitidezza nei suoi pensieri. "Devo andarmene.", ragiona con un sussurro afferrando la maniglia e lottando rabbiosamente con la porta, "Cosa? Dove?", domanda stupidamente l'androide colta impreparata dagli eventi dell'ultimo minuto. "Devo andarmene!", ribadisce Ripley riuscendo finalmente a guadagnare la stretta uscita.

"Porca puttana!", impreca la ragazza in preda alla frustrazione per non poterle correre dietro istantaneamente, e alla preoccupazione per lei. Si trascina sulla branda fino a potersi quasi sedere appoggiando la schiena alla parete, afferra il rotolo di pelle artificiale e comincia velocemente a rattopparsi alla bell'e meglio. "Incredibile, prima si dichiara spudoratamente e poi scappa come una ragazzina alle prime armi!", borbotta tra sé cercando di scherzarci su, "Vaffanculo Ripley!", impreca nel vano tentativo di allontanare la preoccupazione crescente.

Senza PreteseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora