Prologo

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Nella calma della sera, mentre tutti dormivano, c'era un lago. Uno specchio d'acqua immobile, reso pallido dalla luce spettrale della luna.
La neve cadeva leggera dal cielo, toccando l'acqua come milioni di goccioline e sciogliendosi in essa.
Faceva freddo, ma non abbastanza da congelare il lago.
Una cornacchia gracchiava, appollaiata su una roccia alla riva.
Le penne brillavano sotto la luna, nere e grigie, mentre l'uccello gridava insistentemente al lago, osservando l'acqua incresparsi.

Una figura riemerse dall'acqua boccheggiante, gemendo alla ricerca di aria.
Rantolò di dolore, sentendo tutte le membra rigide e la testa esplodergli; si piegò su se stesso. Il suo petto toccò l'acqua, che sembrava essere parecchio più calda dell'aria circostante.
Si specchiò involontariamente nel lago: i capelli neri e corti erano bagnati e appiccicati alla fronte, gli occhi verdi erano spalancati e il volto cosparso di goccioline.
Espirò rumorosamente, tremante per il freddo, e il suo fiato si librò in aria in un fumo biancastro.
Il suo riflesso lo guardava con le guance parecchio arrossate.
Rabbrividì violentemente, quasi procurandosi dolore, rendendosi conto poco dopo che qualcosa di gelido gli stava carezzando le spalle lentigginose.
Sollevò lo sguardo, per poi ritirarsi improvvisamente, muovendo l'acqua.
C'era una ragazzina davanti a lui, dai lunghi capelli scuri, lisci e lucenti. Indossava una misera camicia da notte, la quale però non pareva essersi bagnata, nonostante la ragazza fosse immersa fino alla vita nel lago.

Ella avanzò verso di lui, che per qualche motivo non riuscì a muoversi oltre.
Egli la guardò: camminava con assoluta scioltezza nelle acque, non tremava per il freddo e la neve non la toccava. Era come se non fosse lì.

- Ricordati di non riportarmi in vita - disse la ragazzina, con una voce che sembrava provenire dall'aria circostante, non dalla sua bocca.

Lui rimase fermo, guardandola con gli occhi strizzati e battendo i denti. Si chiese come avrebbe anche solo potuto pensare di fare una cosa del genere, dato che non ne era capace.
La ragazza gli si avvicinò ancora di più, stringendolo in un abbraccio gelido come il ghiaccio.
Lui si irrigidi, stringendosi le braccia al busto magro. Rimase boccheggiante per la temperatura del corpo della ragazza.
Ella fu totalmente assorbita nel corpo dell'altro, come fosse aria.
Lui, rimasto nuovamente solo, avvertì come se le membra gli si stessero lacerando dall'interno.
Si piegò ulteriormente su se stesso, urlando di dolore, mentre la cornacchia gracchiava un'altra volta.

Respirò, col fiato corto, mentre delle lacrime gli scendevano per le guance.
Avrebbe volentieri soffiato sulle proprie mani, che ormai erano violacee, ma non aveva la forza di muoversi.
Si guardò in torno, con la neve incastrata nei capelli. Alla sua destra stava un bosco, particolarmente fitto, che terminava a contatto col lago. Dall'altro lato, c'era la campagna e la prima casa era lontana di parecchi passi. Dubitava potessero vederlo da laggiù.
La cornacchia richiamò la sua attenzione, cantando inquieta dalla sua roccia a riva.
Dietro il grosso uccello, stava qualcuno, sdraiato nella neve, in una pozza rossa. Era un cadavere.
Lui si mosse verso la riva, rabbrividendo a mano a mano che perdeva contatto con l'acqua.
Cadde accanto alla roccia col corvo, sussultando al contatto del suo corpo nudo con la neve.
Si tirò su a fatica, avvicinandosi al cadavere.

Scoprì che si trattava di una ragazzina, dal pallidore disarmante. Aveva i capelli di un castano molto scuro, il viso tondo, gli occhi chiusi.
Vestiva con una camicia da notte, insanguinata in corrispondenza del petto.
Egli fece un passo indietro, nel realizzare che quella ragazza era la stessa che l'aveva abbracciato nel lago.
Vide che ella, tra le dita, teneva uno stiletto insanguinato.
Percepiva una natura fortemente magica in lei. Pensò che potesse essere una strega, dato che l'arma suggeriva come lei si fosse uccisa in modo da riportarlo in vita.
Non poté fare a meno di chiedersi perché, dato che lui era pienamente convinto di non aver mai visto quella ragazza, prima.
Si abbassò per prendere lo stiletto, quando la cornacchia gracchiò di nuovo. Lui la guardò e questa si librò in volo, puntandogli contro gli artigli.
L'uccello riuscì a graffiargli il petto prima che lui potesse buttarsi a terra.
Rantolò nell'avertire il gelo della neve contro la schiena nuda.
La vista lo abbandonò per un attimo e tutto ciò che vide fu un sentiero in ghiaia.

Stava correndo, a perdi fiato. Continuava a voltarsi alle proprie spalle, vedendo dietro di sé una serie di luci in lontananza. Si muovevano verso di lui.
Una donna correva al suo fianco, era bionda, con indosso un lungo abito scuro e il volto sporco di fuliggine.
C'era un vociare continuo di parecchie persone, sempre più vicino.
La ragazza rimase indietro, fermandosi.
Lui si voltò per guardarla, mentre lei strabuzzava gli occhi e gli correva in contro, come per volerlo afferrare.

- Colin! - urlò lei, chiamandolo.

Colin si voltò, udendo un suono.
Vide due frecce volare verso di lui, poi più nulla.

La vista tornò di colpo, il cielo stellato della notte, la neve che cadeva a terra.
Aveva urlato e non si era accorto di aver versato delle lacrime.
Si guardò il corpo, avvertendo quasi il dolore causatogli dalle frecce.
Dove i dardi gli avevano trafitto la carne, ora stavano due grosse macchie rosse, una sullo sterno e l'altra sul lato destro della vita stretta.
Tremante, si mise seduto, guardando il corpo della strega.
Prendilo. Sentì dire.
Si voltò con uno scatto, constatando come non ci fosse nessuno. Era solo, completamente solo.
Prendilo! Dissero di nuovo, questa volta quasi con rabbia.
Colin sussultò.

- Cosa? Cosa devo prendere? - chiese.

Non era solito domandarsi chi fosse a parlargli quando non vedeva nessuno intorno a sé, sapeva che non erano solo i vivi a saper parlare.

- La collana- rispose l'aria.

Dalla voce sembrava essere una donna, giovane.
Colin si chiese di quale collana stesse parlando, poi vide qualcosa luccicare al collo della strega.
C'era una collana, dalla catenella in ottone e da cui pendeva una pietra di un viola bluastro.
Colin si avvicinò tremante al corpo, ammirando come i capelli della strega, sparsi sul terreno, facessero contrasto con la neve.
Le passò le dita sottili sulla pelle gelida del collo e le sfilò la collana.
Osservò per un attimo la pietra: era piatta, cangiante e grande quanto l'unghia del suo pollice.
Con un movimento che non ricondusse alla propria volontà, si infilò la collana, che quasi sembrava calda a contatto col suo petto.
Spinto da una forza che sembrava quasi non venire da lui, prese tra le dita la pietra, un'ultima volta. La girò dall'altro lato, dove, inciso sull'ottone, c'era una scritta a caratteri runici.
Colin, che li sapeva leggere, scoprì che si trattava di un nome: Marion.

- Sei tu? - domandò, la voce resa tremante dai brividi che gli scuotevano il corpo.

Si voltò in più direzione, le ginocchia che affondavano nella neve. Si aspettò di sentire la voce rispondere da qualche parte intorno a lui; si stupì molto quando la risposta arrivò dalla sua mente, quasi fosse un suo pensiero.

- No, noi - ribatté la ragazza.

Colin lasciò andare la collana e la pietra gli batté contro lo sterno.
Fissò la giovane strega, le cui labbra si erano fatte viola. Sembrava avere la pelle di porcellana.
Ricordati di non riportarmi in vita.
Gli tornò in mente quella frase all'improvviso, realizzando solo in quel momento cosa volesse dire.
Lasciò andare un sospiro, capendo che, nel ritornare in vita, aveva involontariamente assorbito l'anima della strega.

Colin e MarionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora