Capitolo secondo

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Volevo letterarlmente morire in quel momento. Mi buttarono sul sedile posteriore di una vettura simile ad una jeep, sbattei la faccia sulla pelle dura, ma poco mi importava, mi stavano portando via anche la forza, non sapevo più a cosa aggrapparmi.

La testa mi scoppiava, avevo paura, tanta e avevo perso tutto. Non volevo più essere quello che ero.

Osservai per un attimo attraverso il vetro che mi separava dal guidatore, anche se il mio sguardo era affaticato e le figure di conseguenza molto approssimate vidi che non era solo: oltre all'uomo che mi aveva portata via c'era un individuo più piccolo seduto al posto del passeggero, si poteva dire un bambino.

Non sapevo minimamente dove stessimo andando e non avevo la forza di alzarmi e sbirciare dal finestrino ma quando ci fermammo eravamo in una struttura al chiuso. I due scesero e la portiera posteriore venne aperta, provai a tirare a me le mie gambe in modo da strisciare sul lato della portiera opposta ma non servì a nulla, infatti l'uomo mi sedò e mi prese in braccio. Attraversammo un corridoio bianco, ruotai la mia testa che era appoggiata sulla mia spalla destra su quella sinistra, in modo da poter guardare l'uomo che mi stava trasportando. Quel piccolo gesto mi costò una fatica.

Ovviamente per la vista offuscata e il sedativo vedevo doppiamente male, difatti riuscì solamente a riconoscere la forma di un paio di occhiali da sole scuri con le lenti a specchio.

Arrivammo in una stanza con un bancone e tante piccole celle, anch'essi bianchi, e venni accomodata su una branda, l'ultima cosa che vidi e sentii fu l'uomo che parlava con la donna al bancone e che concluse la frase con: - Stasera passeremo la notte qui.- e si sedette, coprendosi gli occhi con il cappello da cowboy che portava.

Mi svegliai verso le tre di notte, come indicava l'orologio che c'era in quella stanza, mi alzai e sentii la testa che pulsava, ma almeno faceva meno male di prima. Ero preoccupata, dovevo uscire eppure non sapevo come. Oltre alla luce molto tenue del corridoio filtrava quella della luna da una fessura posta molto in alto rispetto al muro di mattoni bianchi; mi assicurai che l'uomo stesse dormendo per poi aggrapparmi alle sbarre che cingevano la fessura e tirarmi su con le braccia, il mio naso per poco inspirò l'aria pura e libera che circolava fuori da quella prigione, poi le braccia cedettero scaraventandomi a terra, un tonfo sordo, niente più. Non avevo più lacrime, eppure il dolore che volevo esprimere era ancora tanto, così poggiai gli avambracci contro il muro con i palmi rivolti verso esso. La superficie della parete fece lo stesso movimento quando una goccia d'acqua colpisce uno specchio della medesima, così sbalordita provai ad affondarci il dito e non solo quello affondava, ma anche il braccio intero, era tutto così surreale eppure, cosa avevo da perdere?

Mi ci immersi completamente e quando fui dall'altra parte emersi come da sott'acqua, poi ebbi un sussulto seguito da un capogiro, come succede quando ci si sveglia di soprassalto, ma almeno ero fuori: vedevo il cielo, la luna, le stelle, gli alberi, era tutto così magnifico, così libero, così... solo.

Ora dovevo scappare. Mi inoltrai nel bosco sentendomi indifesa, ero coscente del fatto di essere un anima, ma non conoscevo ancora il mio potere, quindi ero impaurita e dispersa. Il cuore batteva a mille, dava la giusta carica per correre in fretta, la paura di essere beccata da uno spettro era tanta e la probabilità che accadesse era molto alta, fatto sta che le cose da fare erano poche e una di queste era correre.

Mi immaginai la faccia che avrebbe fatto l'uomo con il cappello l'indomani scoprendomi fuggita. Mi immaginai la faccia che avrebbe fatto mio padre scroprendo che aveva ragione su di me. Mi immaginai la faccia che avrebbe fatto mia sorella vedendomi viva. Hayley, chissà dov'era?

Passai molto tempo a correre in quel bosco al buio, pensavo di non arrivare da nessuna parte, ma sapevo che il manto notturno era un ottimo occultamento, aspettare sarebbe stato pericoloso, ma il momento che aspettavo più di qualsiasi ogni altra cosa erano i primissimi raggi solari.  Ebbene i primi raggi avrebbero rischiarato di poco il cielo permettendomi di vedere e di orientarmi un poco, lasciandomi comunque ben nascosta da occhi indiscreti.

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