Sentivo il suo calore, la sentivo di fianco a me, i suoi respiri stanchi, incerti, timorosi. Non la guardavo, avrei voluto farlo, ma quando lo facevo vedevo i suoi occhi riempirsi di lacrime, tristi e preoccupati.
Stava seduta lì, con la schiena dritta sulla punta del divano. La sua postura denotava nervosismo e lo sentivo anche senza guardarla. Attendeva ansiosa che il telefono squillasse.
Un silenzio carico di tensione ci avvolgeva, freddo, denso, amaro.
L'impulso di abbracciarla era forte, ma sapevo non era la cosa giusta da fare. In alcuni momenti non voleva essere cinta, quasi si sentisse compressa, bloccata, imprigionata. Un po' la capivo, ero come lei in questo. Alcune volte desideravo ardentemente essere abbracciato nella disperata ricerca di un calore interno, altre preferivo non sentire contatti, come a proteggere gelosamente qualcosa di segreto nel mio intimo.
Le presi la mano, lei inaspettatamente la accolse e la strinse. Ed era come se una lastra di ghiaccio iniziasse a sciogliersi, come se il calore della stretta di mano si irradiasse nel profondo e tutto intorno. La sentii concentrarsi sul suo respiro, sempre più regolare. Lentamente si adagiò sullo schienale e proruppe in un pianto silenzioso. La guardai titubante, quasi vergognandomi, come si guarda un momento di estrema intimità. Mi venne da sussurrarle parole di incoraggiamento che mi sembravano vuote, io stavo lì, nulla poteva accadere. La tensione si sciolse in lacrime dolcemente salate che le irrigavano il viso. Quel macigno sul petto che sentiva da giorni stava sgretolandosi. La accarezzai piano asciugandole il pianto che lentamente scendeva sino alle labbra colorate di un rosa acceso.
Mi abbracciò lei e fui stranamente felice di ricevere le sue braccia al collo. La strinsi inebriandomi del suo profumo. Sentivo il mio collo inumidirsi e la strinsi più forte.
Un momento infinito in cui io mi cullai dolcemente e lei si liberò per un attimo dal peso che sentiva dentro di sé.
I nostri respiri si sincronizzarono e per una frazione di secondo, per un fugace istante, mi parve di esserle legato imprescindibilmente, una strana ed incomprensibile emozione. Sentivo la sua paura, la sua tristezza, la sua sorda preoccupazione. Ed era come se cercassi di donarle, di trasferirle il coraggio, la felicità, la tranquillità, in una sorta di connessione tra anime, in una sorta di nobile compensazione di sensazioni.
Ma fu solo un attimo impercettibile. Lei si ridestò e mi guardò dritto negli occhi penetrandomi, denudandomi. E senza muovere le labbra, senza che da lei prorompesse una sola parola, i suoi occhi profondi, rossi ed umidi mi dissero tutto.
Si poggiò sul divano, le nostre mani unite, gli sguardi che fissavano la stanza davanti a noi. Ora il silenzio era più naturale, più caldo, non di cose non dette.
In quegli istanti che sembravano non finire mai il telefono trillò rauco facendoci sobbalzare. Lei si alzò quasi con noncuranza, cercando di far trasparire dai movimenti del proprio corpo una placida calma, ma io che la conoscevo bene notavo in questa tranquillità imposta ed innaturale tutto il suo nervosismo, tutto il suo timore che cercava inutilmente di dissimulare.
Dall'altro capo del telefono rispose una voce asettica, priva di qualsiasi sfumatura di calore, e parlò: 'Negativo!'
Una sola parola, quattro semplici sillabe. Strano come potessero cambiare la percezione della nostra esistenza, come potessero dar vita ad un turbinio di emozioni, spazzando in un colpo solo tutta quella spiacevole sensazione di incertezza che si era annidata, strisciando furtiva, dentro di lei.
Il Covid era entrato prepotentemente nella nostra quotidianità, insieme sconvolgendola e dandole un gusto e sapore diverso.
Ma quella sentenza di assoluzione trasformò la stanza. Avevo la sensazione che da opaca e monocromatica si riempisse di colori vivaci. Il suo corpo si rilassò, il suo viso si increspò in un sorriso contagioso, come se una fila di denti bianchi irradiasse luce tutt'intorno. Il suo animo si aprì e sentivo che lei era più leggera, ed io con lei. La guardavo ipnotizzato, una piuma che danzava leggiadra nei colori abbaglianti del nuovo giorno che era appena nato. Si voltò verso di me con gli occhi umidi e ridenti e per una seconda volta mi si lanciò in un abbraccio, diverso dal primo, così gioioso che le lacrime riempirono le mie pupille, appannandomi la vista, facendo annaspare il mio respiro. La sollevai e la feci girare, i suoi capelli danzarono morbidi riflettendo la luce di una lampada. La felicità mi investì e risi, ridemmo forte assaporando quel momento di pura emozione, di pura e agognata normalità.
Ed in quel momento pensai a quante prove avremmo dovuto ancora affrontare, avendo la certezza che quel legame, che mi era parso fugace, che poteva sembrare inconsistente, era diventato solido e anche se lontani, ognuno di noi con la sua vita, non si sarebbe mai spezzato.