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Un anno dopo- California
Brooke e Violet, nuovo stato, nuova vita e nuove regole.

BROOKE'S POV

Nuova settimana, nuovo appuntamento dallo psicologo.
La sala d'attesa era davvero bella, se non avessi un appuntamento fisso ogni lunedì e non conoscessi questa stanza a memoria, direi quasi che possa far parte di una villa o qualcosa di simile.
Numerosi divani bianchi, pavimento beige e pareti di un marrone scuro formavano davvero un buon insieme di colori.
Era davvero snervante aspettare seduta su uno di questi divani contando i tic dell'orologio.
Finalmente, dopo svariati minuti, la porta si aprì e uscì Violet con un velo di tristezza sul volto e una camminata molto lenta.

Si avvicinò a me e mi porse la mano per alzarmi, prima di sedersi di conseguenza.
Il nostro rapporto era più sano ma eravamo sempre legate da quel filo invisibile.
Dopo quella notte, la nostra vita cambiò totalmente e i nostri genitori ci fecero trasferire in California.
Io e Violet condividevamo un piccolo appartamento vicino a scuola e avevamo appuntamenti fissi dallo psicologo, in ospedale e alla riabilitazione.
Avevamo finito con quella merda e ora ci toccava subirne le conseguenze.

Chiusi la porta dello studio del Dr. Packson e mi sedetti di fronte a lui, sulla sedia bianca e parecchio scomoda.
"Salve signorina Senyor, come si sente oggi?" Chiese interessato scrivendo sul suo solito quadernino blu.
"Meglio, grazie dottore"risposi con un piccolo sorriso sul volto, più falso del suo naso rifatto.
"È agitata per il suo primo giorno al quinto anno?" Mi porse una nuova domanda alla quale faticai a rispondere.
Dopo qualche decina di secondi iniziai a balbettare qualcosa.
"Si, no, insomma non lo so forse un po'...ho mille cose per la testa e spero vada tutto bene"
"Mi sembrava avesse detto che ha sempre amato le lingue e non vedo dove potrebbe andare male"insistì il dottore.
"Si mi piacciono molto, ma se smettessero di piacermi? O se non fossi abbastanza brava?"domandai incuriosita
"Signorina non serve essere bravi, serve l'impegno e la costanza in queste cose"rispose tranquillamente.
"Beh e se tutto andasse per il verso sbagliato? I compagni, la mia vita. Se dovessi ricadere in tutto quel casino?"parlai talmente veloce che sperai con tutto il cuore mi avesse capita, era sempre difficile esporsi così.
"Non accadrà, deve solo ricordare cosa è giusto e cosa è sbagliato"cercò di tranquillizzarmi.
"E se lo dimenticassi?"continuai imperterrita sulla mia strada, infondo conoscevo io me stessa più di quanto riuscisse a farlo lui.
"Signorina Senyor, come mi sembra di aver capito da mesi a questa parte, vede, lei è una ragazza molto determinata ed è cresciuta molto rispetto all'anno scorso, non ho dubbi che lei stia superando giustamente la cosa, piuttosto, sono preoccupato per la signorina Rebston, la tenga d'occhio per favore" e dopo aver detto questo, alcune righe si formarono sulla sua fronte in una smorfia preoccupata.
"Sta prendendo le sue medicine? E come va con la rabbia?"continuò successivamente tornando a parlare di me.
"Si le sto prendendo, e va sempre meglio, correre mi aiuta tantissimo sono molto più tranquilla ultimamente, come le avevo già detto"risposi sicura di me.

La visita finì poco dopo, tra domande e preoccupazioni, il suo parere era positivo, miglioravo sempre più e speravo di riuscire a terminare gli appuntamenti il più presto possibile.
Uscii dalla sala affiancata da Violet e tornammo a casa con la mia piccola 500 nera. Me l'aveva regalata papà, usata, aveva smesso anche di viziarmi da quel giorno.

Arrivammo a casa parecchio stanche, e vedevo dalla faccia di Violet la sua rabbia contro se stessa, la sua corazza era sempre la stessa, il dottore faticava a buttarla giù e delle volte faticavo anche io.
Cercavo di uscirne ed essere positiva, ma il carattere della mia amica bruna era parecchio diverso e di conseguenza reagiva in maniera totalmente differente a come lo facevo io.
"Ordiniamo una pizza o cucino qualcosa io?"chiesi guardandola direttamente negli occhi.
Lei evitò di rispondermi e si diresse direttamente nella sua camera da letto, chiudendo la porta.
Alcune volte faticavo a riconoscerla, ma non mi scoraggiavo mai, era la mia amica e la mia più grande forza da quando eravamo piccine.

Decisi di mangiare da sola in camera, come spesso accadeva il lunedì, cercavo di non pensarci guardando le solite puntate di "Pretty Little Liars" su Netflix. Conoscevo così bene Violet che sapevo quando era il momento di lasciarla sola a riflettere, e questo era uno di quei momenti.
Mi addormentai così, tra un episodio e l'altro, tra un pensiero e un ricordo.

Una grande villa, piena di quadri vittoriani e un arredamento a dir poco antico; con più piani e scale che sembravano ricordare quelle di un castello, parecchio lussuosa e piena di gente.
Tra drogati, alcolizzati e sesso forse la mia canna era la cosa più innocua in quell'ambiente.
"Brooke passa la canna"urlò Matt ridendo.
Era stra fatto, ma mai quanto me"non esiste, quando vorrei farmi qualche striscia ma sono a secco"urlai di rimando, ridendo forse più del dovuto.
"La tua amica Violet non è a secco"cercò di provocarmi.
Aggrottai le sopracciglia aprendo le labbra in un espressione indignata, e come risposta il ragazzo dagli occhi blu disse solo "la camera più a destra al secondo piano, se vuoi andare a cercarla"
Non aspettai un minuto in più, iniziai a camminare, correre, o forse avevo il passo più lento di quel che credevo, ero così stra fatta che solo al pensiero di come starei poter camminando mi faceva scoppiare nuovamente a ridere.
Continuavo a fumare, lunghi tiri trattenuti nei polmoni più a lungo possibile, per poi buttare fuori tutto il fumo.
Nessuno ci fece caso, in quella casa c'era così tanto fumo che faticavo a vedere bene.
Salii le scale inciampando qualche volta, tenendomi allo scorrimano.
Arrivai davanti alla porta, la aprii e non appena vidi la scena spalancai gli occhi.
Violet piegata in avanti prendendo in bocca il pene di un ragazzo a me sconosciuto, mentre un altro ragazzo la prendeva da dietro.
Quando aprii quella porta, nessuno se ne accorse finché non decisi di urlare.

Mi svegliai di soprassalto, madida di sudore. Avevo il respiro accelerato, i capelli appiccicati al viso e un improvvisa voglia di strapparli uno a uno, o di fumarmi una semplice sigaretta.
Cercai di calmarmi e addocchiai il mio zaino vicino al letto.
Aprii la tasca più piccola e estrassi il mio pacchetto di Marlboro rosse.
Aprii la finestra e mi accesi la sigaretta.
E un tiro dopo l'altro, i miei occhi diventavano sempre più pesanti e la mia mente si alleggeriva forse un po'.

Quella notte non mi abbandonerà mai; resterà sempre un incubo, un insieme di sbagli e un ricordo indelebile di quanto fosse nera la mia anima.

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