1. L'orfanotrofio

3.3K 96 155
                                    



***

La Madre Superiora entrò di gran carriera nel dormitorio delle ragazze, spalancando le serrande con la sua tipica arroganza, permettendo ad un irritante fascio di luce di entrare e far risuonare, nell'ampia stanza di marmo chiaro, gemiti e sbadigli di sonno.

"Forza signorine! Sono gli ultimi giorni di vacanza. È ora di alzarsi..." urlava la donna dimenando un campanaccio stonato, quasi più irritante della sua voce stridula.

Malia schiuse un occhio e quasi le prese un colpo quando si accorse che l'austera donna, dal naso adunco e i capelli argentei ingellati coperti dal velo, era a qualche centimetro dal suo volto.

"Gesù!" Sussultò la ragazza
"Signorina Evans, quante volte devo dirglielo di non nominare..."
"Ho capito, ho capito!" La interruppe irritata. Odiava quella donna!
Odiava che la prendesse sempre di mira, odiava che le venissero ripetute sempre le stesse cantilene, odiava essere lì e odiava come quella situazione la inasprisse; ma in fondo, sapeva che non esistessero alternative.

L'intransigente suora si allontanò da lei, voltandole le spalle con irriverenza, sorridendo però alle altre ragazze nella camerata.
Mal non si interrogò molto sul suo atteggiamento. Suor Rosemary, nonostante il nome candido che desta simpatia, non era mai stata buona con lei.

Quando l'orfanotrofio riceveva visite, la donna indossava il suo miglior sorriso, capace di convincere chiunque che il suo lavoro all'interno di quel carcere fosse indispensabile per la salute dei ragazzi.

I visitatori le chiedevano spesso come facesse ad essere così sorridente... non erano ciechi.
Le condizioni psicofisiche degli ospiti più fragili della struttura, erano all'estremo.
Una donna un giorno osò dire che i ragazzi sembravano quasi "ingrigiti: sia dentro che fuori".
Camminavano in file ordinate, con lo sguardo spento e la testa bassa, ma a passo svelto, per far trasparire un impeccabile rigore ed educazione.
Nonostante ciò, lei sorrideva.
"Il mio sorriso è il vostro, ed il vostro è quello del Signore!" recitava con convinzione ai visitatori, sempre con lo stesso falsissimo tono.
"Il mio sorriso è il vostro, ed è quello del Signore, che ci guarda dall'alto e veglia su di noi." Altre volte aggiungeva, recitando la medesima bugia alla quale neanche lei stessa credeva.

Improvvisamente Mal volse lo sguardo al grande orologio che torreggiava sulla parete opposta alle vetrate. Sussultò notando che per cambiarsi e rifarsi il letto, le erano rimasti soltanto quindici minuti.

"Ah, finalmente le mie calze hanno deciso di collaborare!" Disse tra se e se, irritata dal fastidiosissimo indumento bianco in nylon che scorreva sulle sue cosce formose.
In effetti, quella era una delle pochissime cose all'interno dell'orfanotrofio che non fossero grigie. Le pareti, il pavimento, i letti e persino le divise lo erano. Qualsiasi cosa, se pur in tonalità diverse, era grigia, spenta... quel posto per Mal era ma metafora della sua esistenza.

Si trovava in quel luogo dal settembre dei suoi due anni, quando un uomo dai lunghi capelli scuri la lasciò alle porte dell'orfanotrofio.
Lo ricordava a malapena quell'uomo: quando si sforzava, riusciva a vedere nella sua mente una mano chiara che la carezzava come solo un tenero padre sa fare. Quando chiedeva spiegazioni sul suo passato alle suore dell'orfanotrofio, loro le rispondevano in modo vago, le dicevano che l'avesse tenuta al suo fianco fino al compimento dei due anni, e che fosse stato lui a darle il suo nome.
Ma purtroppo non erano mai state in grado di fornirle più informazioni. Quando disperata chiedeva almeno il suo nome, loro mantenevano il silenzio e le voltavano le spalle con sdegno.
Un nome invece, lo seppero fornire alla piccola orfana: Lily Evans.
Quel nome che sapeva di campi di lavanda e foglie in autunno, era proprio il nome di sua madre.
Lunghi capelli rossi le incorniciavano il viso pallido, in quella foto lasciatale da suo padre.
Mal era diversa da lei. Non aveva di certo ereditato i suoi colori, non aveva capelli vermigli e viso candido, bensì lunghe trecce castane e pelle olivastra.
Neanche gli occhi erano verdi come i suoi.
Erano scuri, profondi come la notte, ma la forma, l'espressività...
Ogni giorno guardandosi allo specchio rivedeva gli stessi occhi della foto: struggenti, brillanti, vivi.

"Malia datti una mossa, o puniranno tutte!" Le intimò sprezzante una ragazza affacciandosi dal portone della camerata.
Odiava la si chiamasse così: neanche lei stessa sapeva spiegarsi il motivo, non c'era nulla di così orribile in quel nome, ma ogni volta che lo sentiva pronunciare, sentiva un vuoto, una stretta alla gola. Aveva capito da tempo che avrebbe apprezzato il suo nome solo quando l'avesse sentito pronunciare da colui che gliel'aveva dato; eppure la sua natura pessimistica la portava a pensare che non sarebbe mai successo.
Il suo cognome invece, le andava bene: era contenta di averlo ereditato da una donna così bella, la quale emanava un'aura così magnetica e forte.
Eppure, talvolta si fermava a pensare quanto avrebbe voluto averne due, quanto avrebbe desiderato che quell'uomo le avesse lasciato qualcos'altro di suo, oltre che una copertina e una lettera sigillata.
L'aveva certamente aperta quella busta, esattamente il giorno del suo undicesimo compleanno, come da istruzione.
L'aveva letta e riletta, fino ad impararne il contenuto a memoria:

"Mia cara Malia,
Ricordo il giorno in cui ti vidi per la prima volta: i tuoi occhi mi incantarono, e scelsi per te questo nome.
Sei grande ormai, penso sia il momento giusto per darti le spiegazioni che meriti.

Probabilmente non ricorderai il mio volto, la mia voce e il mio tocco; non è ancora arrivato il momento di rivelarti chi sono.
Il mondo non può sapere,
ma tu...
devi.

Tua madre era una donna forte e di una bellezza unica, la quale venne a mancare per orribili vicissitudini, fin troppo presto. Un'anima dolce, strappata via da qualcuno che non merita neanche di essere citato; da un essere ignobile e senza ritegno che mai e poi mai avrà il mio perdono.
Mai ho pensato di lasciarti, se non in quel momento di disperazione che provai due anni dopo la tua nascita.
Ho aspettato mille e cento attimi prima di prendere la fatidica decisione, ma fidati di un padre addolorato quando ti dice che era la scelta migliore per preservare la tua stessa incolumità.
Non c'è secondo in cui non ti pensi e in cui non sia impaziente di rivederti:
Un modo esiste.

In questo giorno di metà maggio compi undici anni, inconsapevole che a breve si presenterà un gufo alla tua finestra. Un maestoso animale,  con una lettera con chiusura in cera lacca nel becco. Un'iniziale stampata su quel sigillo rosso, una H:
H di Hogwarts, scuola di magia e stregoneria.
Potrà sembrarti strano e spaventoso ma questo è la tua vita: sei destinata a diventare una grande strega.
Studierai nella migliore scuola al mondo e solamente lì, avrai la possibilità di rivedermi.  Non mi riconoscerai, ma io saprò chi sei e sarò lì per te, come un'ombra protettrice, pronto ad allontanarti da ogni male.
Leggi e apprendi più che puoi prima della tua partenza, in modo che quel mondo pregno di magia non ti sembri così ostile una volta arrivata.
Quella scuola sarà la tua casa, ove troverai un rifugio, passioni e amore.
Non smettere mai di credere nell'amore, io stesso non l'ho fatto e ora, non sarò mai più capace di amare qualsiasi altro vile essere al di fuori di te, mia piccola.

Tuo sempre vicino padre,

S"

La ragazza per giorni aspettò il momento della chiamata: il suo giovane cuore lo desiderò talmente incessantemente, che non arrivò mai.
Nessun gufo, nessuna lettera, nessun sigillo rosso, alcuna magia.

Spesso pensava a sua madre, assassinata pochi giorni dopo che venisse alla luce.
A suo padre, il quale aveva composto quella lettera come a darle una speranza di un futuro migliore.
Si chiedeva se l'avesse fatto solo con l'intento di farle credere in qualcosa di magico, in una fiaba irreale che le fornisse qualcosa in cui credere.
Quando pensava, sentimenti contrastanti entravano in ballo e una rabbia che vinceva su qualsiasi altra emozione le saliva alla gola.

Sentiva il suo battito cessare, e il suo cuore diventava sempre più buio, cupo.
Quella sensazione di oscurità cresceva dentro lei da anni, la logorava, le chiudeva lo stomaco e le faceva tremare le mani.
Pensava che qualcosa non andasse in lei. Si sentiva inadeguata, troppo irata e troppo buia, nonostante attorno a lei la luce cresceva minuto dopo minuto: a quel punto era già mattina inoltrata.

***

Ciao a tutti!
ImmaThoughtsWriter è ufficialmente tornata con l'intera revisione del suo primo libro.
L'impegnò settimanale è di due capitoli, ma non prometto nulla a causa dei miei molteplici impegni.
Ho deciso di rivederlo personalmente e di applicare un lessico molto più maturo ed adeguato, nonostante la trama rimarrà la stessa.
Che ne pensate?

Distress: Draco MalfoyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora