Capitolo 2: Overlines

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Era una sera qualunque, quella sera. La flebile luce della Luna le baciava il volto con delicatezza, era la prima volta che la vidi.  Fù in quel momento, nel momento in cui si voltò a fissarmi, che io ebbi per la prima volta paura.
Il suo sguardo era una valanga ed io, proprio io, stavo aspettando di essere travolto da essa. Fino a quel momento mi ero detto che non potevo farci niente, che il mio ruolo non potevo cambiarlo, che mi era stato assegnato e come tale era giusto. No, non potevo cambiarlo, ma avrei voluto.

Per le strade si incontrano volti diversi, sempre nuovi, oppure si notano quei lineamenti familiari che suscitano emozioni che, poi, non riusciamo a spiegarci. Quanti volti ho visto io, credetemi, tanto da riempire "Le pagine Bianche", con la sola differenza che bisognerebbe cambiare il titolo della rubrica, di bianco non ci sarebbe nulla.
Se ne vedono, per le vie, di vecchiette intente a dedicarsi ai più vari pettegolezzi oppure a stendere i panni sulle balconate, spesso perdendo panni sui balconi sottostanti o in strada.
Qualche giorno fa, ad esempio, mi è capitato di conoscere un'anziana signora dai meravigliosi occhi azzurri. Per l'intero pomeriggio si è lamentata di quanto male le facessero i piedi con una sua amica. Le due hanno discusso animatamente per ore. Lei parlava del figlio della vicina, un adolescente che adorava disturbarla suonando la batteria a tarda sera. L'altra invece annuiva, parlandole a sua volta del marito, ormai troppo vecchio e burbero per essere sopportato. Addirittura, aggiunse, la notte le tormentava il sonno con le, a detta sua, rumorosissime flatulenze che egli aveva nel sonno.
È incredibile come riescano le persone anziane a trovare sempre argomenti di cui parlare.
Quando finirono di discutere si salutarono affettuosamente, così la seguii fino a casa.
Si apprendono tante cose dagli atteggiamenti e dalle abitudini delle persone.

Nel forno di Margaret, così si chiamava l'anziana signora, vi erano sempre dei biscotti in preparazione. Ne sfornava così tanti da poter sfamare un intero esercito. Sui fornelli vi era invece una teiera decorata, con la quale preparava dell'ottimo Thè caldo. Sulla mensola nel salotto, proprio sopra al caminetto, aveva posizionato delle foto dei suoi nipoti, quando ancora erano piccoli, accompagnati dalle cornici per le foto dei suoi tre figli, due maschi ed una donna. Solo lei le assomigliava. Convivendo con la signora Margaret ho appreso quanto fosse turbata dalla mancanza della sua famiglia, soprattutto del marito, venuto a mancare definitivamente due anni prima. Invitava spesso a casa la sua amica, che ho scoperto chiamarsi Loredana. È così, una chiacchiera tira l'altra, si faceva ora di cena e le due si salutavano.
Un pomeriggio bussarono alla sua porta, in mano avevano un mazzo di fiori , due giovani sulla ventina, probabilmente i fantomatici nipoti. Ne avevo riconosciuto uno, gli stessi lineamenti del suo secondo figlio. Quella mattina avevo accompagnato con gentilezza l'anziana. Avrei voluto scambiare due parole con quei due, dire loro che sarebbero dovuti passar prima, che erano stati pessimi nipoti e non potevano più rimediare. Chissà che espressione avrebbe fatto Margaret a vederli, suppongo potesse esserne contenta.
La pecca del mio lavoro è quella di non poter decidere, quella di dover lasciare andare le cose, senza poterle fermare. Non infrangere le regole è importante.
Guardai un'ultima volta i due, ancora in attesa davanti alla porta, scuotendo leggermente il capo. In altre circostanze mi sarei avvicinato a loro e avrei detto: <tornate a casa, è tardi>, ma mi limitai a sospirare, andandomene per la mia strada, come al mio solito.

Il mio polso si illuminò mentre mi allontanavo da quell'abitazione fredda, priva di biscotti e lamenti, sapevo si trattasse del mio odioso orologio provvisto di touch screen. È incredibile pensare che anche qui si è provvisti di questi aggeggi infernali, no? Chi lo avrebbe detto.
Una notifica.
Una sola notifica, precisamente un messaggio.
Era giunto, dunque, il momento di conoscere una nuova persona? Di già?

M'incamminai lentamente verso l'indirizzo che mi era stato inviato nell'ultimo messaggio. La mia mente iniziò a vagare, provando ad assemblare il prossimo volto. Sicuramente un'altra anziana signora dalle strane fisse per i gatti, le spille o per i maglioni filati a mano. Se non fosse stata un'anziana, forse, sarebbe stato un vecchietto, probabilmente uno di quelli sempre arrabbiati con i politici e con chiunque sorrida troppo spesso. Ci sono così tante persone anziane da accompagnare, di cui prendersi cura nei loro ultimo giorni.
Assorgo nei miei passi e nei miei pensieri, non mi accorsi di essere arrivato davanti all'abitazione descritta, tanto che sussultai quando il navigatore mi segnalò l'arrivo. Alzai gli occhi verso di essa, trovandola moderna, semplice e curata, un po' troppo curata.

"Shiori".
Nessun cognome, c'era solo un nome sulla targhetta del citofono. Era lei? E mentre pensavo a come potesse essere una vecchia signora di nome Shiori, una giovane ragazza uscì sul terrazzino della villetta. Era una villetta.
Era ormai sera, una sera qualunque, ve l'ho già detto. Ma il volto di quella ragazza mi rimase subito impresso.

Il suo sguardo, fisso nel mio, la mia paura. Non capii subito, non riuscii a connettere il mio cervello, - a patto che io ne abbia uno - ma presto dovetti farlo.

<Shiori, come ti senti oggi?>
Una voce alle mie spalle mi costrinse a voltarmi. Un altro volto giovane, dai lineamenti soffici. Dei lunghi capelli, tinti di azzurro, contornavano un viso paffuto e due meravigliosi occhi scuri e profondi. Nonostante quella ragazza fosse molto carina, fu Shiori a mozzarmi il fiato.

<Ciao Melanie!> Disse allegramente, sparendo poi nella sua camera attraverso le tende. Sembravano mille cavalli furiosi quelli che stavano scendendo le scale della piccola villa, eppure comparve dalla porta solo una testolina timida. Lunghi e mossi capelli rossi fiammeggianti entravano in contrasto con due enormi occhi azzurro-verde.

<Ma insomma, quando la finirai di battere i piedi a terra come un Toro?> la rimproverò l'altra.
<E tu quando ti farai una tinta per toglierti quell'azzurro scambiato dai capelli?>
Entrambe scoppiarono a ridere, abbracciandosi poi.

Shiori. Non era un'anziana, allora perché sono stato mandato qui? Qual'è il mio lavoro? I miei occhi si sgranarono, il cuore iniziò a pulsare velocemente.

Devo accompagnare anche te, Shiori.

Le due continuarono a ridere e a parlare di cose buffe ed insolite per ore, stando sedute sul materasso della più piccola. Se c'era qualcosa che avevo appreso, in quell'arco di tempo, è probabilmente il fatto che quelle due, insieme, sono troppo rumorose. Shiori aveva invitato Melanie a restare da lei per quella notte, quindi avevano raccolto una cascata di "schifezze" e dolciumi da consumare durante una nottata tra amiche. Io ero l'unico intruso lì in mezzo, anche se mi sentivo più vivo di quanto sia mai stato.

Vedevo i due lati della linea. Sotto vi era tutto ciò che accompagnavo, sopra vi era lei. Come fosse possibile che un sorriso come tanti altri potesse cambiarmi? No, non era un sorriso qualsiasi. Quella ragazza emanava energia, voglia di esistere. Avevo voglia di tornare io, partecipare a quel pigiama party, sfiorare la pelle umana come non avevo potuto fare fino a quel momento. Volevo percepire il calore di cui parlavano, l'amicizia che discutevano, l'amore che sognavano. Avrei voluto essere umano per un solo istante, in quel momento.

Alle tre del mattino si erano già arrese. Melanie dormiva russando sul lato destro del letto mentre Shiori fissava il cielo stellato sul suo balconcino. Avevo provato a sfiorarla, a sfiorarle la mente, ma tutto era lontano.

<Mi trasferirò presto, comunque.- disse all'improvviso, probabilmente rivolta all'amica dormiente.- Sarò più vicina a te, torno a casa di mia madre>

Le sue parole furono un sibilo, sembravano dettate al vento. Viaggiavano leggiadre per aria, navigando le correnti notturne fino ad arrivare chissà dove. Tornò in camera, chiudendomi la porta alle spalle.

Voglio conoscerti. Shiori, io voglio sapere più cose su di te.

———
La notte passò in fretta. In un men che non si dica fu mattino, precisamente le otto.
La sveglia sul comodino iniziò a suonare e a strillare, svegliando le due ragazze in modo brusco. Melanie saltò a terra, portando con se il cuscino dalla federa rosa, che strinse quasi a volerlo strappare. Shiori era invece con il capo sotto il suo cuscino verde pastello, sbadigliando in modo alquanto bizzarro.

<Gatta, dobbiamo sbrigarci> le disse l'azzurrina, lanciandole una cartella vuota colma di spille. C'erano spille con sopra un gruppo di ragazzi, una k-pop band, altre di anime, altre di videogiochi. Una spilla aveva invece lo sfondo completamente nero e su di essa vi era solo un'iniziale incisa con il rosso: S. Osservai le spille a lungo, non avevo di meglio da fare, anche perché se avessi alzato gli occhi da quello zaino avrei visto sicuramente il corpo nudo della ragazza, intenta a cambiarsi. Non che fosse un problema, ne ho visti così tanti di corpi, di qualsiasi colore e razza, lisci e morbidi, rugosi e secchi. La tentazione di guardarla era alta, avrei voluto sapere com'era. Si curava molto? Poco? Mangiava abbastanza? Che tipo di ragazza era? Così tante domande, così poche risposte. Non sapevo neanche quanto tempo avessi a disposizione con lei, quanto ne restava, quanto se ne era già andato.

Ma lì dove l'inizio ha una fine...
c'è un nuovo inizio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 18, 2020 ⏰

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