0. Prologo

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L'assassino si portò su per le scale. Era sicuro di dove stava andando, aveva studiato la mappa di quella reggia almeno un miliardo di volte. L'abitazione era un grande edificio a tre piani, tutti costantemente sorvegliati. Dopotutto, il conte Briol era un vecchio prudente, lo sapeva. Dopo aver sciolto i legami con la Confraternita, faceva bene a guardarsi sempre alle spalle, ci teneva alla sua vita. La Confraternita era molto vendicativa e il conte Briol ne era al corrente, per questo aveva triplicato la sorveglianza e si era imposto di non uscire di casa. Perciò, l'unico luogo in cui un bravo membro della Confraternita potesse tentare alla vita di quel poveruomo, era proprio la sua reggia.

Salito al terzo piano, dopo aver superato un paio di guardie, si appiattì all'ombra, in attesa del passaggio di un sorvegliante. Partendo dal presupposto che ogni piano è sorvegliato da tre guardie, escluse quelle fisse davanti le camere più importanti, il sicario poteva benissimo nascondersi nell'ombra ed eliminare le tre guardie. Sarebbe successo l'inferno dopo che avrebbe scovato la stanza del conte, quindi preferiva avere meno ostacoli possibili fra i piedi. Eccolo lì il suo primo bersaglio: un uomo sulla cinquantina, alto ma non robusto, una spada che sembrava quasi un giocattolo ed un'armatura abbastanza scadente. Ora l'assassino si era ricordato che il conte era un uomo anche abbastanza tirchio, faceva di tutto per non spendere un soldo! Quindi non solo pagava poco i suoi soldati, ma non dava loro nemmeno il giusto armamentario per proteggersi; dopotutto Briol Fiedrerick Hannel non sapeva neanche cos'era una spada, era un codardo, uno fra le tante fecce nobili in quello schifo di Regno.

L'assassino si preparò: aveva già incoccato una freccia e aspettava il momento migliore per colpire. Si era anche assicurato che l'altro soldato fosse a debita distanza, così da non far insospettire nessuno. Decise che quello era il momento migliore: la freccia si liberò dalla ferma stretta delle sue dita e volò nell'aria, ma solo per poco, quando arrivò a toccare la tempia della vittima, fece schizzare un bel po' di sangue. Il carnefice scattò, sorreggendo quel corpo ormai esanime e prelevandogli un campione del liquido rosso che gli era uscito dalla testa, una delle tante prove del suo successo. Dopo ciò, lasciò cadere il corpo, stando, però, bene attento a non provocare nessun rumore. Eliminò anche il secondo, con la stessa strategia. Il vero problema fu l'ultima guardia. Era un ragazzino della sua stessa età, solo un po' più minuto di costituzione e con un'aria fiera in volto, che invece lui non aveva. Potrebbero anche essere stati amici in una vita parallela, ma in quel momento e in quel luogo, non poteva permettersi nessuno sbaglio e la pietà era la più grande pecca degli assassini, "quella che rovina l'umanità" gli ripeteva in continuazione suo padre. Il sicario era indeciso sul da farsi, non voleva uccidere una persona come lui, non se lo sarebbe perdonato facilmente, ma non poteva nemmeno fallire. Quella era una prova estremamente importante per lui, avrebbe provato la sua infallibilità (non solo come assassino, ma anche come figlio) o lo avrebbe portato alla tortura più estrema. "Non voglio apprendisti deboli, tantomeno figli ancora più deboli" gli aveva gridato una volta suo padre, mentre si era rifiutato di uccidere un cervo "I deboli periscono sotto la grande mano dei forti, quindi meglio per te che inizi a renderti più forte, femmina!" aveva continuato. Era cresciuto da allora, aveva imparato ad uccidere con una facilità estrema, ma che ancora non bastava a suo padre. Quella sarebbe stata la sua prova decisiva, quella che avrebbe segnato per lui un degno posto nella sua famiglia. Finalmente suo fratello non lo avrebbe più guardato con tanta indegnità, finalmente non avrebbe più fatto vergognare i suoi del suo essere "debole", come diceva suo padre. Finalmente il mondo lo avrebbe degnato di uno sguardo diverso. E se per questo doveva rimetterci la vita di un quindicenne e di altri esseri infimi come il conte, (che dopotutto meritavano di morire), avrebbe fatto il possibile per non rendere vana la loro morte.

Vinta la pietà, la sua, ora, era soltanto una questione di vista, calma e concentrazione. Ma doveva sbrigarsi, tra nemmeno un'ora iniziava a sorgere il sole, e lui sarebbe stato in pericolo, senza l'aiuto dell'ombra. Quindi, si sbrigò. Si avvicinò come un predatore fa con la preda, in allerta. Un passo, due passi, tre passi. Era sempre più vicino alla sua vittima e sempre più vicino al suo bersaglio principale: il conte. Infatti, dietro alle spalle del piccolo soldato, si ergeva una grande porta in legno, quella che si apriva alla camera da letto di Briol.

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