È il 1888, in una piccola valle, circondata da antiche formazioni rocciose, selvagge, composte da montagne ripide, grandiosi altopiani accidentati, è incastonato un piccolo paesino di origini medioevali, non fa neanche millecentocinquanta abitanti. Il quindici dicembre, nasce un bambino, che fu chiamato: Jasques; era difficile vivere, adattarsi, tra il freddo e la povertà.
Era cresciuto in un ambito operaio, tra la falce e il martello, il legno e la mole. Ed era vestito da orribili completi grigio chiaro. Diceva che suo padre era un nobile e che sua madre pilotava gli aerei; bisognava stare attenti a ciò che diceva, non tutto ciò che diceva era proprio esattamente vera: come la sua data di nascita. A 15 anni, la madre morì. Li non poteva più restate. Forse non sa nemmeno dove andare, nè come andarci. Non ha soldi, non può prendere una carrozza, una nave... solo con i suoi piedi. Scende dalle montagne, fa qualche lavoretto, sopravvive come può, resta povero, si sposta continuamente, va di citta in citta. Sempre verso Milano, sempre verso sud. Ci va dopo aver vagato per 2 anni, per millequattrocento chilometri. Gli sembrava un labirinto: edifici irregolari, strade più larghe che lunghe. La città stava cambiando. Milano diventa industrializzata. Milano diventa nuova. L'universo è pari al suo appetito vasto; andiamo al ritmo delle mareggiate, partiamo col cuore pieno di rancori e desideri amari e il cervello in fiamme, urliamo il nostro infinito al finito dei mari.
I cuori leggeri sembrano palloni aerostatici, a loro destino, non vogliono scappare. E senza perchè dicono andiamo. Trovò un lavoro. Diventò un apprendista, imparò ad imballare ogni cosa, i segreti dei bauli, valigie, legno, zinco, tela, ottone, cuoio, alluminio e colla. Tanta colla. La sua arte migliore era quella di maneggiare gli oggetti, di custodirli.
Passa un anno, diventa adulto, indipendente, non è un caso se senza un soldo, solo con i suoi piedi, inizia a viaggiare.