Carnevale a Venezia

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Erano seduti a un piccolo tavolo da colazione e prendevano il caffè.

Giancarlo e Francesca.

Davanti a lei il bicchiere con la spremuta, i biscotti disposti in modo simmetrico, in un ordine maniacale. Davanti a lui il coltellino del burro leggermente storto. Lui lo raddrizzò con una mossa precisa.

Lei fissava i capelli biondi di lui incollati all’indietro, alla moda di tanti anni fa. Lui lanciava occhiate verso il tostapane che ronzava in un angolo.

Lei pensò: sta lanciando una moda con ’sta pettinatura revival, come al solito vuol essere il primo. Poi lo sguardo superò il casco biondo per fissarsi sulla vetrata proprio dietro la testa. Dietro il vetro c’era una terrazza e la cupola di San Giovanni ai fiorentini.

Era la prima mattina che prendevano il caffè insieme. Di notti ne avevano già passate tante, ma lei era stata abile a fuggire sempre subito dopo, per far crescere sempre più l’alone del suo mistero. Questo modo di fare era parte del suo fascino. Ma questa notte proprio non ce l’aveva fatta, faceva troppo freddo e lei era sempre così pigra.

Lui, convinto di averla finalmente domata, aveva preparato una splendida colazione.

Lo sguardo di lei vagava sulla cupola e intanto pensava: Chissà se uscirò mai su quella terrazza, chissà se in primavera sarò qui.

Giancarlo interruppe il filo dei suoi pensieri. 

“Ho deciso che andremo a Venezia.”

In effetti, Giancarlo non chiedeva mai vuoi venire? Ti piacerebbe?

Francesca era come soggiogata dalla volontà di quell’uomo. Lei, dall’alto della bellezza che esplodeva dai suoi trent’anni, di solito imponeva agli uomini tutti i suoi voleri. Questa volta aveva avuto il gusto un po’ masochista di voler sentirsi dare degli ordini. In effetti, voleva mettersi alla prova, capire cosa provavano le sue sorelle per le quali i maschi decidevano tutto. Giancarlo era divenuto per lei un bellissimo esperimento. Voleva provare a se stessa di poter essere anche la bimba timida gestita dagli eventi.

Ecco, stava per allungare la mano a versarsi il caffè. Si fermò appena in tempo che lui già stava dicendo: “Ti ci metto un goccio di latte così è più leggero”. Lei ingurgitò quella bevanda chiedendosi perché doveva rinunciare all’aspro sapore scuro. Invece, con un sorriso, guardò Giancarlo e disse: “Come hai indovinato che adoro il caffè macchiato?”

“Sei mai stata al carnevale di Venezia? Quest’anno ho deciso di accettare l’invito che mi hanno fatto. Ti passo a prendere domattina.”

Neanche un vuoi venire? Un ti piacerebbe? pensò lei, da un lato interessata a vedere la città che si diceva fosse tornata agli splendori delle feste della Serenissima, e dall’altro curiosa di capire fino a che punto avrebbe resistito nel ruolo che aveva scelto di recitare.

Preparò il necessaire per un paio di giorni.

Il luogo dove andavano era il massimo per Venezia. Giancarlo era stato allievo del grande architetto e ora loro erano invitati dal nuovo doge spirituale della città.

In realtà, la calle piccola e stretta in cui si avventurarono aveva poco a che spartire con le antiche dimore dei dogi. Ma non appena varcarono la soglia i mobili pazzeschi, tutti disegnati dal padrone di casa, la lasciarono senza fiato. Francesca era cresciuta tra trumeau veneziani, scrivanie quattrocentesche, salottini Luigi XVI e credeva che nulla potesse più meravigliarla. Ma quei mobili! Quella reinterpretazione moderna del barocco nella città che era il simbolo della bellezza estetica! Etica ed estetica, la città che incarnava più di tutte il Kalos kai Agathos greco, la patria della libertà, della cultura e del bello, e i padroni di casa erano anche loro simbolo ed espressione dello stesso concetto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 12, 2015 ⏰

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