Prologo

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Le ombre esistono.

Io stessa ne ho prova, certezza concreta.

Le ho viste. Si facevano spazio tra i quieti volti pallidi delle anime infette, e si specchiavano in grossi bacini d'acqua.

Trasportavano un velo di assoluta tristezza, livore e rancore. Ti constrigevano a guardare oltre, a estendere l'occhio umano al limitar delle sue capacita'.

Ti sussuravano parole soavi, dolci come zucchero, suonavano per te melodie funesti con l'intento d'incantarti, e ci riuscivano. Sempre.

Facevano in modo di entrati dentro, ti leggevano l'anima, e tu le lasciavi fare, impotente com'eri, ancora troppo abbagliata dalle melodie lugubri ma affascinanti che ti suonavano.

Cercavano di possederti, si infilavano tra le pieghe delle ossa, nel cervello, ovunque potessero. E tu rimanevi fermo, impotente. Inerme su te stesso.

Perché le ombre erano brave
a giocare. Lo erano sempre state.

Da piccola mi venivano a trovare spesso, le vedevo li', nella mia cameretta con la vista sul bosco mentre tutto taceva.

Mi invitavano a giocare, passavamo ore in sieme, e quando il giorno arrivava, le ombre non c'erano piu'. Scomparivano come un soffio di vento, e non riuscivo piu' a vederle.

Poi, quando si faceva di nuovo sera, e mi coricavo tra le braccia di morfeo, le vedevo riapparire.

Mi sorridevano, erano dolci con me e mi volevano bene, lo sapevo. Erano state loro a dirmelo, e io ci credevo.

Sapevo che le ombre esistevano, lo sapevo da sempre.

Ed io ero una di loro.

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