IL TERRENO DELLA MORTE

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Il capitano Tzusun piantò la sua alabarda a terra appoggiandovi sopra tutto il suo peso: era stremato, il respiro affannato, la vista offuscata.

Il suo battaglione versava nelle stesse condizione: avevano appena respinto un gruppo di soldati d'avanguardia nemico, ma la battaglia era lunge dall'essere conclusa: in lontananza si potevano già scorgere innumerevoli stendardi ostili e questa volta la disparità numerica era incolmabile.

Tzusun alzò lo sguardo al cielo: dal colore rossastro delle nuvole si rese conto che era già sera.

Forse l'ultima della sua vita. 

Doveva prendere una decisione e in fretta, tuttavia non c'erano molte alternative valide: affrontare gli avversari in campo aperto sarebbe stato come salire sul patibolo e legarsi il cappio al collo mentre la ritirata non era un'opzione praticabile, sarebbero stati inseguiti e massacrati; non rimaneva che sperare nell'arrivo di contingenti alleati o, più verosimilmente, in un intervento divino.

Tzusun si era quasi arreso quando improvvisamente si ricordò una frase che aveva letto in un manuale di guerra quando ancora studiava all'accademia militare: nello stesso istante un'idea folle si fece prepotentemente strada nella sua mente. 

Chiamò a raccolta i suoi soldati e li portò in un incavo che si apriva tra le montagne dove a stento tutti riuscirono ad entrare.

Tzusun si posizionò in prima linea: salí su una roccia, si tolse l'elmo e osservò silenziosamente il suo battaglione per alcuni minuti.

Dagli occhi degli uomini traspariva tutta la loro stanchezza, alcuni si erano persino addormentati mentre erano ancora in piedi, sostenuti dalle loro armature d'argento.

"Signori" esordì Tzusun con voce grave "Signori, noi stiamo per morire".

Queste parole ovviamente scatenarono il panico tra le fila: alcuni cercarono di scappare, ma appena videro davanti a loro il grande esercito nemico tornarono subito tra i ranghi. 

"Perché ci hai condotto qui? Siamo in trappola!" si lamentarono in coro i guerrieri.

"Perché è nella natura dei soldati saper resistere quando sono circondati, lottare fino allo stremo quando non c’è alternativa, ricercare la vita laddove c'è solo morte . Adesso, tutti quanti noi, non stiamo più combattendo per ideali a cui non crediamo o per una patria di cui non ci interessa nulla: adesso stiamo combattendo per le nostre vite e per proteggere ciò che più ci è caro al mondo! Usate questa forza, trasformate la disperazione in determinazione e vivrete! ".

In quel momento fu chiaro a tutti: Tzusun era impazzito. 

Poco dopo arrivò l'esercito avversario; i nemici erano convinti di annientare ogni resistenza in breve tempo, ma si dovettero presto ricredere: i soldati di Tzusun, con una parete di roccia alle spalle e i loro carnefici dinnanzi, combattevano animati da un vigore disumano, mantenevano le posizioni senza indietreggiare di un singolo passo e menavano fendenti privi di ogni timore.

Alla fine gli aggressori decisero di ignorare il battaglione: avrebbero potuto vincere, tuttavia avevano già subito molte perdite, troppe per annientare un così esiguo gruppo di uomini; proseguire non avrebbe portato loro alcun vantaggio anzi, si sarebbe rivelato solo un inutile spreco di tempo e risorse. 

Quando i vessilli ostili furono ormai lontani il battaglione poté finalmente abbassare la guardia: vi furono abbracci, pianti, grida gioiose, tutti, seppur stremati, festaggiarono la vittoria, tutti tranne Tzusun che giaceva al suolo in una pozza di sangue.

Il petto si alzava sempre più debolmente sotto il peso della sua corazza, gli occhi rivoltati non discernevano più la luce, le orecchie non percepiamo più i suoni, eppure, ne era certo, i suoi soldati erano sopravvissuti.

Per loro aveva sopportato le ferite mortali subite durante la prima battaglia, per loro aveva combattuto fino alla morte.

Quando il momento fatale fu ormai prossimo, Tzusun ripensò alla frase letta molti anni prima grazie alla quale era riuscito a salvare i suoi guerrieri, la sua famiglia:

"Porta i tuoi uomini sul terreno della morte e loro vivranno ". 

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