capitolo tre

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<<Non capisco cosa ci trovi di divertente>> le dissi.
<<Il fatto che tu abbia picchiato un ragazzo a una festa senza un apparente motivo mi ha decisamente rallegrato la giornata>>.
<<E scommetto che tu lo sapevi già da questa mattina. Vero?>> le chiesi.
<<Che cosa sapevo già?>> mi domandò con aria innocente.
<<Che lo avrei picchiato>>.
<<Ovvio>> mi rispose.
<<E non mi dirai perché o come?>>.
<<Giusto>> mi confermò.
É da quando ci conosciamo che le chiedo come faccia a sapere cosa accadrà prima che un qualsiasi fatto avvenga, ma Raissa non mi hai mai spiegato niente. Ma se sperava che io smettessi di fare domande si sbagliava, io non mi arrendo mai. Avrei continuato a domandarle il perché fino alla fine.
<<Non l'ho fatto perché mi divertiva, l'ho fatto perché le sue intenzioni erano quelle di portarmi in un ripostiglio, forse con Joseph Searoar. Lascio a te l'idea di cosa volesse fare>> le dissi.
<<Ti ha detto che ti voleva portare in un ripostiglio con Jospeh? Che audacia>>.
Solo allora mi venne un dubbio. La sua bocca non si era mossa nel dirlo.
<<Lui... lui non l'ha detto... ma io ho sentito la sua voce... era la sua, ne sono sicura...>>.
Raissa mi guardò, non era scioccata, non rideva di me; mi fissava seria, sembrava quasi lo sapesse già.
<<Hai sentito la sua voce, ma la sua bocca non si è mossa... è questo che stai cercando di dirmi?>>.
<<Sì, credo. Issa cosa sai?>> le chiesi.
Lei cambiò immediatamente espressione <<Ma cosa dici?>> mi disse ridendo <<Ti sarai sbagliata, ora andiamo a farci un giro>>.
Sapevo nascondesse dell'altro ma lasciai perdere e la seguii volando.
Ci fermammo sotto un acero completamente spoglio, le sue foglie formavano un soffice cuscino su cui sdraiarsi. Anche se era contro la legge entrare in altre fazioni noi lo facevamo da quando ci eravamo incontrate, nessuno ci aveva mai trovato o visto.
<<Domani è il grande giorno vero?>> mi domandò Raissa.
Avevo cercato di dimenticare di quello che mi aspettava il giorno dopo. Domani sarei stata ufficialmente affidata a una fazione, che sarebbe diventata la mia casa. Domani era il giorno della Conferma.
<<Sarò affidata ad Aetset, la mia famiglia ci appartiene da secoli, non credo che cambierà con me>>.
<<Ma tu vuoi essere assegnata ad Aetset?>> mi chiese.
Ci riflettei. Non avevo mai pensato di poter andarmene da quel posto; avevo sempre invidiato le altre fazioni ma non avevo mai pensato di andare a viverci. Non dover partecipare a tutte quelle ricadio le feste in spiaggia, poter fare quello che voglio. Scacciai quel pensiero dalla mia testa.
<<É impossibile, non andrò da un'altra parte. Io crescerò ad Aetset, e ci rimarrò per sempre>>.
<<Ma tu lo vuoi?>> mi richiese <<il Grande Albero tiene conto anche di quello che vuoi...>>
<<Sono tante le cose che vorrei Raissa, l'unico problema è che non possono realizzarsi tutte>>.
<<Okay Lella, ho capito. Parliamo di altro... non capisco ancora perché tu abbia detto no a Erik, insomma non è niente male. Inoltre magari si sarebbe aggiunto Joseph, due in un colpo solo che occasione!>>.
<<Primo non chiamarmi Lella. Secondo, non capisco cosa ci trovi in loro>>.
<<Era un'occasione per te, so che voi Aetsete vi sposate quasi subito dopo la Conferma>>.
<<Io no>>.
<<In questo caso cambiare fazione ti aiuterebbe>>.
<<Non credo migliorerebbe le cose>>.
<<Oggi siamo scorbutiche eh? Ci vediamo domani al Grande Albero per la tua assegnazione>> detto questo mi abbracciò e volò via.

Attesi il tramonto e poi volai a casa. Volare di notte era un altro paio di ali rispetto a volare di giorno. É tutto buio, l'unica luce che si può scorgere è data dalla Luna e dalle piccole lucciole che la circondano, le stelle. La Luna è la madre e le stelle sono le sue figlie; la Luna è amorevole, lascia un po' del suo spazio anche alle piccole stelle. Il Sole brilla solo e unico durante il giorno, l'unica luce che deve essere vista è lui. Questo è quello che penso degli Aetseti, persone egoiste che pensano solamente a brillare più degli altri.
La mia casa era silenziosa, probabilmente i miei genitori dormivano già. Mi avvivai verso camera mia quando qualcuno mi bloccò. Mio padre.
<<Un po' tardi non credi?>> mi chiese.
Rimasi in silenzio.
<<Mi dici cosa hai fatto oggi? Realmente>> detto questo si sedette al tavolo nella sala da pranzo.
<<Sono andata alla festa>> gli dissi in tono di sfida e sedendomi a mia volta.
<<Ok, riformulo. Quanto tempo hai trascorso lì?>>.
Oweler Silkpure sapeva come sbarrarmi la strada.
<<Una mezz'oretta più o meno>>.
<<Dai! Avrei scommesso neanche cinque minuti. E perché sei andata via? Questa volta cosa è successo?>> mi faceva le stesse domande ogni volta che uscivo insieme agli altri Aetseti; le mie risposte invece variavano a seconda dell'occasione.
<<Un ragazzo ha avuto a dir poco tatto con me>>.
<<Non mi sorprende, questi ragazzi ormai non sanno come si deve parlare con una Aetseta>>.
<<Secondo loro sbavarle addosso è il migliore dei complimenti>> gli dissi.
Scoppiammo entrambi in una fragorosa risata. Mio padre e Raissa erano le uniche persone con cui potessi essere veramente me stessa e con cui stavo bene.
<<Cosa ti avrebbe detto questo...?>>
<<Erik. Comunque ha detto di volermi portare in un ripostiglio del porto magari in compagnia di Jospeh Searoar>>.
<<Andrò a trovare la sua famiglia domani mattina se vuoi...>>
<<Gli ho tirato uno schiaffo, penso che sia bastato>>
<<Bel lavoro, veramente>> disse con un sorriso stampato sul viso.
É da quando sono nata che passo le giornate insieme a lui in palestra a divertirmi più che allenarmi, non ero un granché nello sport e nell'attività fisica, ma ero forse la Mijeph più spericolata della storia. Una cosa bella di questa fazione c'era, gli Atesteti erano i migliori guerrieri di Nooldwears. Erano infinte le leggende sui guerrieri di questa fazione; ogni abitante sceglieva la Sua arma, quell'attrezzo con cui proteggeresti i tuoi cari, quell'arma che ti infonde fiducia, sicurezza, coraggio e forza. Mio padre era tra i migliori spadaccini del nostro mondo, la mia arma ha letteralmente scioccato mia madre, la frusta. Quest'arma è flessibile, potente e può sia ferire che uccidere in pochi attimi, è sfuggente e si lascia maneggiare solo da pochi prescelti. Mi è stata regalata per il mio sesto compleanno, é argento fuso con decori in rame che formano il mio nome Leila, inoltre si può facilmente nascondere dato che si trasforma in un sottile bracciale da mettere al polso, da cui non mi separo mai. Interruppe i miei pensieri la domanda di mio padre.
<<C'è dell'altro? Vero?>>
Ci riflettei un attimo prima di rispondergli. Volevo davvero che pensasse che sua figlia è una pazza? Ma non potevo mentirgli. <<Lui non ha detto quelle parole, la sua bocca non si è mossa. Io però sono certa di aver sentito la sua voce che lo diceva... papà io ne sono sicura... però magari mi sono solo sbagliata>>.
Lui mi guardò come mai prima d'ora. Sembrava triste, credeva in quello che dicevo certo, ma la luce che poco prima avevo visto nei suoi occhi mentre ridevamo di quella scimmia di Erik ora non c'era più. I suoi occhi erano due lisce pozze da acqua blu, ma l'unica emozione che lasciavano trasparire era malinconia.
<<Ti credo Leila, veramente. Possiamo però rimandare questo discorso a domani? Dovresti riposare ora, dormi che domani sarà una grande giornata>> mi disse.
<< Papà... se finissi in un'altra fazione tu....>>
<<... Ovunque tu andrai tu rimarrai per sempre la mia figlia, la migliore che potesse capitarmi>>.
<<Anche se sono stata "adottata"?>>
<<Tu sei Mia figlia, in qualsiasi Universo, mondo e oceano. Ora va a dormire Leila>> mi disse.
<<Buonanotte papà>> gli risposi andando verso la mia camera per dormire quel poco che sarei riuscita.

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