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Poche cose al mondo definivano Gabriel Agreste: il come prendeva il caffè nella pergola di un piccolo bar, intrattenuto da un buon libro ogni mattina, un capitolo per le mattinate buone e tre per quelle che si preannunciavano come deludenti; oppure la dedizione che metteva nel vestire seppur distrattamente con parsimoniosa eleganza:
Una camicia bianca con le maniche arrotolate a mezzo braccio, pantaloni beige a sigaretta, mocassini in tinta e quel cardigan di un tono sabbia che gli dava quel senso di importanza, sempre accompagnato da una qualche spilla o cinghia realizzata da lui stesso.
Aveva quel nonsocché nel portamento e nello sguardo che spingeva a chiedersi da quale ceto sociale provenisse, chi avesse frequentato, quali docenti lo stessero seguendo al suo primo anno universitario, quanto effettivamente fosse promettente quel ragazzino che guardava il mondo piegando la testa di lato e chiudendo un occhio per scattare un'istantanea nella sua mente e poi riprodurla su carta senza nemmeno riguardare il soggetto: un soggetto che una volta terminata la bozza avrebbe dipinto ad acquerello passando il pennello sulla fine superficie di carta bianca, per poi stendergli un velo di plastica con precisione e inserirle in piccole cornici graffiate, come nello Stile Shabby, collegate da un filo di iuta che le legava ai chiodi della parete.
Gabriel era geniale, una vera e propria personalità, unica anziché rara diremmo.
Proveniva da un ceto benestante, potremmo dire, si era ritrovato catapultato nel mondo una volta raggiunti i diciotto anni, lavorava come cameriere la sera sul presto e mattina e pomeriggio studiava: la notte era usata per una o due ore, talvolta tre, di invenzioni e creatività.
La tavola lunga, sempre disordinata era abbastanza grande da portare con se tempere, pastelli, pantoni, pennarellini, righe, squadre, matite di ogni genere, puntamine, acquerelli. Tele di iuta piene di stoffe, altre con qualche metallo lì accatastato, che attendeva con ansia di essere levigato e diventare qualcosa sottraendo dall'eccesso di materia: così come molti scultori prima di lui avevano fatto la storia nel marmo, Michelangelo, Bernini.
E ci creava qualcosa di meraviglioso.
Gli dava vita: aveva quella sezione di scrivania dedicata alla parte di design dove non soltanto si poneva a disegnare e realizzare gioielli con un'archetto di metallo, delle lime e dei seghetti fini, ma anche dove progettava oggetti particolari che sempre lo riconducevano a cosa disegnare nei bozzetti di moda e che ogni qualvolta si mettesse a costruire lo interrompesse per un'improvvisa seconda idea che gli portava via tutto il tempo libero e la passione.
Ma no, non quella notte...
Aveva un esame all'indomani, così, in vista di quello prese la cena da asporto al ristorante e sedette davanti alla tv a riempire le pagine del quaderno di bozzetti, cose che aveva visto in giro in giornata e avevano attirato la sua attenzione. E si alzava al primo bagliore del sole, guardando la luna che pian piano si recava nello schiarire, trascinandosi sul balcone e poggiandoci le braccia sentendo la fredda brezza sulla pelle, assaporando ogni istante, ogni respiro, chiudendo gli occhi e percependo come il vento lo cullasse...
E finalmente, dopo una notte di crisi attenuata dal disegno e da quella goccia d'alcol che aveva bevuto, trovava la pace.⋆༺🎨༻⋆
Correva con quel piumino due o forse tre taglie più grandi per quella stradina di lastricato dismesso, in sorriso sul viso e i pugni stretti, un braccio attorno alla cartella di un rosso fiammante, il fiato che creava nuvole di fumo grandi che andavano dissolvendosi in quella nebbiolina che si abbatteva sui campi come neve stessa.
Il sole stava sorgendo... Una sfera rossa nelle nubi indaco alle sue spalle, che emergeva in quel paesaggio commisto di edifici antichi e un pò campagna... E di colpo, voltato quel vicolo si ritrovava nella sempre corrente città natale, la movimentata e grandiosa Parigi.
Sentì un rumore: un certo scalpiccio e si voltò automaticamente trovando un vicolo vuoto...
"Solo il vento" pensò.
Vi erano solo dei calcinacci che cadevano dall'alto e si schiantavano a terra. Istintivamente sollevò la testa vedendo una fugura scura che si muoveva abilmente di tetto in tetto,
era già tardi per lui, l'aveva catturato. Si sporse cercando di seguirla con la testa, quando divenne incapace di continuare a farlo solo con lo sguardo corse, il frammento di secondo per quanto aveva potuto vedere quella ll'aveva reso avido, alla mercé di quello che voleva comprendere, come tutte le volte che si metteva in testa qualcosa e non c'era parte di mondo dove non sarebbe arrivato.
Corse urtando la gente e quando arrivò al punto di svolta di una strada l'aveva già persa di vista. Era diventato come un'istantanea delle sue, pensava mentre continuava a guardare quel punto in alto con un mezzo sorriso. Ma quella figura era stata la macchina fotografica del vero Gabriel, l'unica che potesse davvero catturarlo in quel modo e che l'artista, per svariate settimane avrebbe continuato a dipingere analogamente.
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Nello studio di Gabriel Agreste ⧼𝑴𝒊𝒓𝒂𝒄𝒖𝒍𝒐𝒖𝒔⧽
FanficGabriel è un giovane universitario con un brillante futuro davanti a lui che prospera di giorno in giorno di fronte ai diversi sacrifici che affronta... Un ragazzo fra tanti, potremmo dire. Un genio che nasconde i dettagli speciali e le composizioni...