La Morìa

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Tornai a casa in tarda serata. Stanco come al solito, buttai il cellulare sul divano, e camminando sofferente rimuginavo su tutto ciò che era stata la mia vita, un ammasso di scelte sbagliate, parole al vento, ossigeno sprecato, rimpianti, una vita fatta di infelicità. Ero triste:" Sono un fallito", pensavo:" una vita sprecata è la mia", ne ero convinto, mi guardo attorno e vedo persone realizzate, con una vita felice, un futuro assicurato e soprattutto felici, cosa sono io in confronto a loro? Una nullità, la loro vita è perfetta, sono belli e felici, la loro ricchezza non sta nel denaro ma nelle persone che hanno, persone di cui fidarsi, persone che li amano e che li aiutano nei momenti difficili, chi ho io? Nessuno. Mi avviai verso la mia stanza piangendo:" Sono solo come un cane, nessuno mi ama, faccio schifo a tutti, non avrò un futuro, fallirò sempre e comunque, niente e nessuno mi può consolare, gli altri sono perfetti, io no, io sono una nullità". Soffocato da questi pensieri, mi sdraia sul mio letto triste e solo chiusi gli occhi per soffocare il pianto, cercavo il sonno per non soffrire ancora e avere un momento di pace irreale. Finalmente il corpo si lasciò andare e il sonno si impossessò del mio corpo.

Mi svegliai all'improvviso per colpa di un incubo, era tutto buio, respiravo a fatica, avevo un terribile mal di testa, vedevo immagini e parole, sentivo la testa scoppiare, pesante, un dolore tremendo, ero sul punto di impazzire, sentivo la follia entrare dentro me, la conoscenza irrompere nella mia mente limitata, mi sentivo strano, saggio ma ottuso, travolto da migliaia di parole, rapito dalla follia, mi alzai di scatto, spaventato, mi guardai attorno, urlando:" Qualcuno mi aiuti!!" ero come in una tempesta, travolto dall'universo, nel caos più completo e caddi a terra incosciente. Stordito mi svegliai e una luce secca penetrò nei miei occhi assonnati, una luce abbagliante, nuvole nere attraversavano il cielo, un cielo grigio perenne, e versi inumani udivo in lontananza, come tuoni, apocalittici suoni e richiami, sentì i fili d'erba taglienti tra le dita, balzai in piedi e mi guardai attorno. Era tutto così strano, pianure enormi, sconfinate, attraversate da nebbie e ombre, monti altissimi, uno in particolare all'orizzonte, altissimo, fino al cielo, come se nascondesse qualcosa, alberi smorti, vallate ricoperte da delicati boschi, foglie ruzzolate, formazioni rocciose contorte, un fiume corvino, petrolio pareva, come lo Stinge. Ma all'improvviso un fremito attraversò il mio corpo quando fra la nebbia vidi delle ombre che avanzavano lente sui sentieri montani. La nebbia si dissolse velocemente e rivelò ciò che nascondeva, mostri deformi, terrificanti, bestie immonde, così terrificanti da spaventare anche il più impavido degli uomini, i "difformi", mentre altre ombre antropomorfe, gli assopiti, le accompagnavano meste, tutte avanzavano come condannati, le ombre parevano schiavi e i "difformi" i loro carnefici, di cui solo il ricordo mi spaura; alzai gli occhi al cielo, due enormi occhi rossi mi fissavano insistenti, spaurito abbassai il capo e avanzai fissando l'erba grigiastra, un suono truce attraversò l'aria e una congerie di parole e immagini travolse la mia povera mente, urlai e urlai dal dolore, sentì una voce nella mia mente, parole indefinite udivo, solo versi inumani emessi da chissà qual demone, dolorante e sofferente urlai:" Chi sei tu o demone immondo che mi parli causandomi dolore, fatti vedere", altro suono bieco udì, il fiume di parole si fermò e caddi di nuovo a terra privo di sensi.

Ottenebrata era la vista, mi alzai confuso, mi guardai attorno e realizzai che qualcosa o qualcuno mi portò all'altra riva del fiume corvino. Vidi di fronte a me un grande muro di roccia, montagne che non era possibile scalare, c'era solo una strettoia invasa da spuntoni. Mi feci coraggio, respirai profondamente e mi gettai nella strettoia, la attraversai correndo tremante di paura, mi graffiai su un braccio e una gamba, correndo, distruggendo gli spuntoni più fragili ma dopo infiniti secondi di sofferenza uscì dalla gola. I tagli facevano male, ma si risanarono in pochi secondi, lasciando una cicatrice e un dolore costante come se il taglio ci fosse ancora, mi guardai intorno, ero circondato da alti colli, senza via d'uscita, ma di fronte a me una galleria infinita si era aperta. non ebbi altra possibilità, vi entrai, era pieno di stalattiti e la stalagmiti, e ancor più inquietante, centinai di scheletri, ossa e teschi sparsi per la galleria, morti, la attraversai ad occhi chiusi, mentre le ossa si frantumavano sotto i miei piedi, le mani degli scheletri mi scivolavo addosso e le pungenti stalattiti mi accarezzavano la pelle, voci cupe e sussurri, ferite e carezze, ero tormentato, fischi di vento e gelidi brividi, voce di una condanna all'eterno vivere, soffrire delle pene terrene, come quella spelonca, così minacciosa e torva. Accelerai il passo, ma all'improvviso una mano mi afferrò il collo, mi voltai e un scheletro mi avvicino al suo bianco cranio e mi disse con voce torva e infernale:" Tu dovresti essere già morto nullità, questo posto è la vita fatta materia e perciò dovresti essere morto, sofferente e dannato in mezzo a noi". Lo scheletro si frantumò, non aspettai un secondo in più e scappai attraverso le stalattiti e le stalagmiti. Dopo tanta sofferenza, uscì dalla galleria e davanti a me c'era un'altra grotta parzialmente occupata da un liquido tra il rosso e il nero, vi entrai non avendo altra scelta, mi immersi nel liquido, mi arrivò al costato, non ebbi troppa difficoltà ad attraversare la grotta, ma viscido era, denso, odori vomitevoli, stretto era il petto, privato del respiro, la reliquia di una vita vissuta, i resti della mesta esistenza, all'improvviso qualcosa mi afferrò il piede e altra voce truce affiorò nella mia mente:" Tu dovresti essere già morto, questa è la vita che dovrai affrontare, insidie invisibili e mortali, non avanzare oltre non sei degno di superarmi", mi teneva fermo, mi trascinava sul fondo ma all'improvviso un altro suono simile a quelli che udì sulle rive del fiume rimbombò per la grotta, la gamba mi fu liberata e potei attraversare le grotta. Corsi veloce e alimentato dello sgomento, uscì dalla grotta e subito una gola davanti mi ritrovai, saliva minacciosa con stalagmiti e spuntoni sulla ruvida parete, salì la gola tra le stalagmiti, la sofferenza infinita, la vita plasmata roccia, morte. 

L'incuboDove le storie prendono vita. Scoprilo ora