David vide la pallina gialla arrivare, sentì i muscoli delle braccia tendersi e quelli delle gambe contrarsi nello sforzo di raggiungere la palla prima che toccasse una seconda volta terra. Ogni giorno la stessa corsa, ogni giorno lo stesso affanno, e a David sembrava di essere stato affannato per tutta la vita. Prima per aiutare l'attività di famiglia, poi per ottenere la media necessaria per essere ammesso all'esclusiva scuola di tennis che frequentava, e adesso per non deludere il coach e prendere quella maledetta palla.
«Non spingere troppo!» gli urlò il coach, un uomo sulla cinquantina dal fisico atletico.
L'impatto tra la palla e la racchetta produsse un rumore sordo. David si lasciò sfuggire un gemito per lo sforzo, ma vedere la pallina dall'altro lato della rete e il suo rovescio ottenuto con la giusta torsione del polso gli diedero un'immensa soddisfazione.
«Basta così per oggi.»
David annuì all'allenatore, poi si avvicinò alla panchina dove aveva lasciato il borsone. Sentì su di sé gli occhi di un altro ragazzo, un diciottenne suo coetaneo che aveva cominciato l'anno accademico insieme a lui e che come lui si dannava sul rettangolo di gioco.
«Ti è piaciuto quello che hai visto?» gli domandò David.
Il giovane seduto sugli spalti arrossì e subito dopo strinse le mascelle in un moto di fastidio. «Niente male, ma se proprio vuoi saperlo è stato il coach a dirmi di fermarmi per osservare quello che non va fatto.»
David sbuffò. Non ci credeva neanche un po'. Da quando lui e Alec erano arrivati in quella scuola esclusiva della capitale spagnola, si era sentito sempre addosso gli occhi del ragazzo, e lui non aveva fatto molto per scoraggiarlo, anzi, a dirla tutta non vedeva l'ora di sferrare il suo attacco finale e far cadere il giovane dal fisico atletico, dagli occhi nocciola tinti appena di verde e dai capelli castani ai suoi piedi. Lo aveva notato dal primo giorno, quando suo padre lo aveva accompagnato fin sulla soglia della stanza e gli aveva raccomandato di compiere il suo dovere ricordandogli per l'ennesima volta, senza dirglielo esplicitamente, quanto costasse la retta per l'accademia.
Alec si affannava con le valigie davanti alla sua camera, poco lontana da quella di David. Quel giorno David non aveva potuto fare a meno di notare la curva della schiena, il modo in cui la maglia si era sollevata scoprendo la pelle chiara, le mani che, frenetiche, cercavano di tenere insieme i manici delle valigie. Quella mattina si era ripromesso che Alec sarebbe stato suo. Solo per un momento si era chiesto se vi fosse qualche ostacolo, un fidanzato – o peggio, una fidanzata –, ma il modo in cui Alec lo aveva fissato quando si era accorto del suo sguardo aveva dissipato ogni dubbio. David otteneva sempre ciò che voleva, se lo era ripromesso tempo prima, dopo la battuta di arresto della sua carriera scolastica nell'ultimo liceo che aveva frequentato. Gli bruciava ancora ricordare i suoi errori, il volto deluso di suo padre, la bravata che avrebbe potuto mettere a rischio i suoi sogni, ma adesso era diverso: perseguiva l'obiettivo con freddezza, concedendosi solo sprazzi di piacere senza coinvolgimento. In fondo sarebbe stato così ingiusto alla sua età rinunciare a ogni piacere.
Cominciò a camminare verso gli spogliatoi. Socchiuse gli occhi, infastidito dalla luce chiara della giornata primaverile e dal sole che batteva sulla pelle sudata.
«Mi segui?» domandò ironicamente, voltando appena il capo verso Alec.
L'altro sospirò. «Si dà il caso che serva anche a me una doccia dopo l'allenamento.»
Varcarono la porta dello spogliatoio nello stesso momento. David diede una rapida occhiata al telefono: niente messaggi di suo padre né di sua madre. Alec invece, sembrava aver ricevuto un messaggio poco piacevole a giudicare dal modo in cui aveva aggrottato la fronte. Pensò che fosse adorabile, poi si morse la lingua perché era sul punto di dirglielo. Che idiota. Quello che si era riproposto era di conquistare Alec, passarci qualche ora piacevole e poi ognuno per la sua strada. Entrambi avevano una carriera a cui pensare, in particolare il torneo degli juniores che si svolgeva alla fine di ogni anno all'accademia e che avrebbe qualificato il vincitore per Wimbledon, sempre categoria giovanile ma lasciapassare per farsi notare, per calcare la stessa erba dei tennisti più illustri del presente e del passato.
«Problemi?»
Alec scosse la testa. «Mio padre. Vuole sempre controllare tutto. Se potesse, si trasferirebbe anche lui in questa accademia.»
David cominciò a spogliarsi. Si liberò della maglietta, scoprendo il torace sudato dalla pelle olivastra, poi fece scivolare via i pantaloncini. Le occhiate fugaci che Alec
gli lanciava, mentre tentava di mettere via il telefono con aria subdola, gonfiavano il suo ego... e non solo.
«Non entri in doccia?» chiese con aria fintamente innocente.
Alec sembrò sorpreso per un momento, poi si riprese. «Certo» disse, e voltandosi si liberò di tutto ciò che aveva addosso.
David aspettò che entrasse nella doccia. Udì il suono dell'acqua scrosciare sulle piastrelle di ceramica, si avvicinò alla porta ed ebbe cura di chiuderla a chiave. Alec era uscito dal suo campo visivo, ma dopo pochi passi lo vide ancora, voltato di schiena, i palmi delle mani poggiate sulla parete, il corpo accarezzato dall'acqua. Merda, era già eccitato al solo guardarlo. Fece alcuni passi in avanti. Alec rimase immobile, nonostante David fosse sicuro, da un lieve tremito della schiena, che il ragazzo si era accorto della sua presenza. Una nuvola di vapore acqueo e profumo di bagnoschiuma agli agrumi invasero le narici di David. Cinse da dietro la vita di Alec con un braccio, sentì i muscoli dell'addome dell'altro contrarsi, poi posò le labbra sulla sua spalla umida, esattamente come la prima volta che avevano fatto la doccia in quel modo.
«Che cazzo stiamo facendo?» sussurrò Alec.
Un sorriso ironico piegò le labbra di David. «Non è proprio il massimo da dire in questo momento, non credi?»
Alec respirò pesantemente, ma inclinò il collo a destra per lasciargli maggiore accesso.
«È stato bello la prima volta» continuò David, prima di affondare la lingua nell'incavo del collo di Alec e allungare una mano verso il suo membro.
«Ma noi...» Alec provò a fermarlo, tuttavia le parole si fermarono a mezz'aria.
Noi ci stiamo giocando l'ingresso a Wimbledon? Noi siamo rivali? Noi siamo completamente diversi e questo non può che mandare tutto in malora?
Nessuna parola però gli uscì dalle labbra. David spinse contro di lui e questo sembrò eccitarlo tanto da fargli dimenticare le sue obiezioni.
«Anche la seconda volta è stato bello, e la terza» gli ricordò David. Era iniziata in quel modo tra loro, con un appuntamento apparentemente casuale negli spogliatoi dopo una sessione di allenamento extra.
«Sta' zitto, ho capito» lo tacitò Alec.
«Bene.»
David mosse la mano sul membro di Alec mentre il proprio pulsava in modo incontrollabile. Non avevano molto tempo. Si infilò due dita in bocca per inumidirle e con quelle entrò dentro il corpo dell'altro per prepararlo. Lo udì soffocare i gemiti nel proprio braccio e poi, incapace di trattenersi, gli entrò dentro. Alec non se ne lamentò e si mosse contro di lui per accoglierlo totalmente.
David avvertì una scossa elettrica attraversargli il corpo, annaspò tra il vapore acqueo e i brividi che affiorarono sulla pelle. Afferrò i fianchi di Alec e consumò con poche vigorose spinte l'eccitazione di entrambi, come il fuoco di una candela che brucia troppo in fretta.
STAI LEGGENDO
Love-Forty IN LIBRERIA (gay themed)
Storie d'amoreIn una prestigiosa accademia di tennis di Madrid, David e Alec perseguono lo stesso obiettivo: accedere al torneo di Wimbledon nella categoria juniores. Ma gli incontri bollenti dentro e fuori dagli spogliatoi potrebbero diventare una distrazione fa...