I mondi vitrei

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Se non avevo sbagliato il pin di accesso mi trovavo nella dimensione di massima sicurezza onirica, ho questa sensazione perché sento che i miei ultimi ricordi sono paradossalmente più vividi del cielo vitreo su cui non riesco a specchiarmi. Il verbale della mia ninnananna è quello che segue, spremuto con tanto di semi sul fondo del bicchiere: Demetrio aveva un cane e questo potevo aspettarmelo. Era un bull terrier color sabbia che mi guardava negli occhi, infradiciava una copia de "Il mondo come volontà e rappresentazione" con la saliva e raspava contro la porta della camera da letto ogni qualvolta Sabina vocalizzasse arie inventate. A questo punto mi si attivò un giudizio sintetico a priori piuttosto antitetico: avevo figurato la ragazza sodomizzata dalla bestiolina, e più lo immaginavo più quella sembrava buttare benzina sul fuoco col suo canto perciò caddi in una spirale paranoica alimentata dallo svaporare sempre più sfumato del picco narcotico. Da quando ne ho memoria, sembravo fremere nell'immaginazione delle casualità più bislacche e grottesche (come azzannare una lampadina accesa ed ingoiarne i pezzi), ed ero posta sotto esame da creature vagheggianti che non avevo mai visto ma unendo i puntini trovavo Ginevra, sola e spiazzata dai miei stessi deliri inquisitori. Come Hansel e Gretel seguii questa scia, che però era un fumo lacrimogeno, fino ad ometterla e, invece della dimora della strega, mi ritrovai in una fossa rigurgitante di liquido seminale concentrato e stagnante; contrariamente ad ogni legge fisica terrestre, mi ci potevo specchiare e il modo in cui compresi questo fatto era enigmatico: non si trattava di un fenomeno visivo quanto psichico, di epilettica consapevolezza. Dal nauseabondo calderone si alzavano, rassomiglianti a mani protese verso l'infinito, delle bolle che scoppiando liberavano grida; dovevano essere galeotte di ere dimenticate. La mia struttura fisica cominciò ad informicolirsi per la fobia: la sentivo arrampicarsi dai piedi fino a rendermi la materia grigia così effervescente da iniettargli sonnolenza; come un vampiro di energie che lo costringeva con le spalle al muro, causando un riavvio forzato. C'era qualcosa nell'aria che voleva inebetirmi, strapparmi ogni sorta di presentimento. M'ammollai completamente nel fluido per nascondermi, seppur la mia spina dorsale sembrava essersi enfiata a dismisura e tracimava dallo stesso... affermare che quasi tutta la mia massa lipidica si fosse addensata in essa non era un'iperbole; parevo un animale che tenta di trovare disperatamente riparo in una tana troppo angusta. Nel momento stesso in cui mi ritrovai avvolta dalla colla della sostanza percepii, di contrappasso, una sensazione di secchezza totale addosso, realizzando che era evaporata come d'incanto; desunsi durante un accadimento successivo che nei mondi vitrei tutto ciò a cui concedi considerazione ha in sé un limite che tende all'evanescenza, proprio per la sua peculiare natura di teoria integrale. Era una probabilità novella che la strizza m'avesse risparmiato la pellaccia. Sul fondale, ora visibile, di quella che era stata la pozza di sperma, trovai una lama da macellaio talmente greve da farmi oscillare quando lo agguantai, convincendomi a rinunciare alla kafkiana spada nella roccia. Seguii un momento di silenzio lunghissimo, demistificato solo dalla presa di coscienza che in realtà non ve n'era mai persistita latenza. Dovevo aver contravvenuto ad un imperativo ineffabile quando le mie gambe cedettero e, ansante, cominciai a latrare e frignare in un angolo: dove avevo sbagliato?

"Sei corruttibile, devi tagliarti i capelli o non potrai udirmi..."

Non sono in grado d'illustrare semanticamente come avessi potuto catturare quella voce poiché non si trattava di una percezione germogliata sul piano naturale e sonoro terrestre, non era un frullato di vibrazioni e oscillazioni. Sopra al mio capo levitava un essere che nonostante avesse l'orifizio spalancato in un contrito rictus non emetteva alcun grido; aveva le sembianze di un bambino emaciato e rachitico, dalla cui testa fuoriuscivano tre code di topo che ci sbatacchiavano concitatamente, e le pulsazioni del suo cranio glabro mi fece arrivare alla conclusione che esso murasse anche i loro corpi. Mi accorsi che il mio pianto aveva iniziato a produrre un eco falotico, e quando aprii gli occhi, che fino ad allora avevo tenuto sigillati, non vidi proprio niente. Il terrore della cecità era un tarlo arcaico del corpo amigdaloideo, e iniziai singhiozzare con ancora più trasporto, come mi sembrava di non fare da lustri e lustri e lustri. Palpando l'oscurità, le dita vennero rinfrescate dall'alito di esseri squittenti il cui verso, bilancia di massima precisione, spillò emoglobina dai miei padiglioni uditivi. A quel punto, incancrenita e contagiata dalla frustrazione dello scoramento, pigiai a fondo i pollici nei loro occhi intenzionata a sviluppare l'impeto dei versi e perciò sanguinare ulteriormente. Volevo individuare un capro espiatorio, ed ero persuasa che solo un bagno del mio liquido corporeo poteva ristabilire una temperatura normale: che sciocca, che razza di ragionamento è preferire un calore extracorporeo e temporaneo, se poi sarei stata colpita dal gelo perenne del dissanguamento? Per dare a me stessa, toglievo a me stessa. Una luce celebrale mi avvolse in modo inquietante, facendomi capire dove mi trovassi: ero finita nello stesso cranio del bambino mostruoso. Come per la pozza seminale, appena inghiottii questa pillola conoscitiva lo scenario mutò e "quindi uscimmo a riveder le stelle"... sulla cima del monte non era né giorno né notte e c'era un silenzio talmente puro da essere fastidioso perché qualsiasi mio pensiero era un bicchiere che si rompe sul pavimento; ascendevano verso il cielo e rimbalzavano così violentemente da augurarmi che si disintegrassero nella caduta ma, dato che erano frutto dello stesso spirito che aveva tentato di accecare i topi, si comportavano verosimilmente penetrando nuovamente il mio cervello e incrinandolo con il loro rimbombare sovraeccitato. Non ero più sola, sedevano infatti in cerchio delle figure femminili sul prato di rugiada, e muovevano le mani in un modo per me indecifrabile. Avvicinandomi percepii le mie gambe muoversi così velocemente che doveva esserci una sorta di attrazione magnetica tra me e il perimetro; constatai che le donne stessero simulando di cucire le loro lunghissime chiome l'una con l'altra e anche se quella trapunta si spezzava e s'induriva ad ogni tentativo, loro ci riprovavano con aria rassegnata eppure resiliente: mi sentivo incantata da quello spettacolo e volevo farne parte e tutti i costi, eppure ero bloccata ed in soggezione. Quando le donne mi videro il loro volto perse tutta la debole, pallida luce che lo rischiarava, lasciandomi sbigottita: mi sentivo sul filo del rasoio e feci una riflessione strana, interrogandomi sul senso di tortura che provavo nell'essere una persona estremamente sensibile alla bellezza e alla poesia ma di non poterne godere i frutti per quanto fossi intrisa di sporco e marciume. Come Psiche che scopre il viso d'Amore colla fiamma di una candela, un'albina consapevolezza mi suggerì perché mi sentissi così in armonia con quelle figure femminili. Avevamo bisogno di riposo dallo strazio dei cuori laidi di fango troppo pesante, condensato fino all'insufficienza cardiaca. Al mondo non c'è un modo per scampare la piaga punitiva motivata da eccesso di purezza, a meno che non si neghi completamente il proprio essere e lo si trascenda, ma chi ne gode troppo e se ne compiace fa una brutta fine. L'intensità della mia attività cerebrale doveva aver scatenato delle valanghe sulle montagne intorno al cerchio magico, difatti udii un prima un tonfo, e poi un gorgoglio da quella che era stata la fossa seminale; mi sembrava che le strutture a priori del mio cervello fossero finalmente tornate a casa, mi sentivo di comprendere quel mondo molto meglio di quello terrestre. Per un istante, scaldata dall'illusorio conforto di questa presa di posizione, mi sentii meglio, ma poi cominciai a produrre come le api col miele, un nativo senso di disagio e down tipico dei bipolari dopo uno squilibrio euforico. Come avevo anche potuto permettermi di sentirmi a mio agio, in un posto che reputavo familiare? Non mi era forse chiaro e cristallino che anche una casa è un tartaro? Che anche i posseduti entrano in chiesa? Come deliziavo con le mie arti retoriche, un'eccellenza talmente sulfurea da credere che il Creatore m'avesse impastata con incenso e smeraldo... eppure ogni volta che scendevo dalle nuvole il reticolo cristallino mi s'incrinava in un drammatico crescendo. Il sangue coagulato sui miei lobi s'inasprì fino a liquefarsi in gocce che mi bagnarono le unghie delle mani; quest'ultime si gonfiarono dolorosamente, producendo dei cordoni ombelicali che terminavano in sanguisughe grasse e scure. Ero talmente inorridita dall'abominio che avevo generato, e così spompata dalle visioni incubiche, che non provai neppure a ribellarmi quando mi resero esangue, né quando mi trovai a tu per tu con lo spettacolo più orribile che potessi immaginare: un esercito d'esseri antropomorfi in deshabillé, armati di testa di bestia e fallo sproporzionato, s'accanirono contro le donne la cui unica difesa era un pianto penetrante e sirenico, che sembrava graffiare come una forchetta sulla ceramica. Più le forze maschili s'infrangevano contro quelle femminili, più sentivo la vita nel mio cuore scalpitare imbizzarrita per emigrare nei ghiaccio perenni e farsi fuoco per poter affermare la sua resistenza, la sua forza e guadagnarsi il passpartout per le coordinazioni dell'essenza universale. Ma un alone funebre e morboso l'umiliava a tal punto da renderle le guance bollenti di stupido pianto, plasmando nella mia gola un nodo talmente stretto da impedirmi di rivolgerle la parola. Gli esseri virili avevano dei genitali giganteschi dotati di mani a rampino in miniatura, il cui peso gravava pericolosamente sullo stomaco delle donne, violentate prima da uno e poi da un altro, ripetutamente, secondo una spietata legge umana e naturale. Pregai a cuore aperto per la prima volta in diciotto anni, con parole che non appartenevano alla mia lingua ma a quella comune a tutto l'utero cosmico. Capii che il rituale era finito una volta che, come immerse in un bagno acido, le donne smagrirono fino a ridursi a pugni di vene ed ossa. Spalmai le rotule sul terreno che aveva risucchiato l'erba nel suo grembo, non volendo imputridirsi, e invocai tutti i vermi del mondo vitreo affinché m'accogliessero con la loro anellide staticità... non volevo più essere umana. Intuii che le mie protesi di sanguisuga avevano avuto un conato di vomito quando eiacularono nel mio corpo il sangue da me prelevato: s'erano accorte della mia impurità? Ma la spiegazione più acuta era talmente succulenta che mi fu impossibile non farci colare sopra la mia bava celebrale: in me s'annidava, nel buio di una Pangea quasi totalmente sigillata, di un imene quasi completamente ricucito, il verme denutrito e torturato dell'umanità. Questa presa di coscienza mi mandava in defibrillazione, mi sentii proprio come quando in un sogno hai l'impressione di cadere nel vuoto, ma allo stesso tempo più mi si abbassava la pressione, più l'adrenalina s'ingrassava autofecondandosi! Le mie corde vocali sudarono, intrecciandosi e appiccicandosi come i capelli quando ero sorta nella pozza seminale: trapiantai nella sfera celeste un suono cresciuto nella landa mezzana a grida e risa. I fiori del male, l'orgasmo della Vergine Maria, i pargoli dell'abuso in fasce. Ebbi davanti agli occhi la nascita e l'evoluzione dell'essere puerile che mi sequestrò nel suo cranio, anche se compresi di essermi autoimposta quel lockdown allucinatorio, dai resti delle genitrici; esso si scaraventò sull'esercito dei seviziatori con una fame talmente profonda...

Crammed                    into one                         f  ell            moment,          my ghastly transformation
Died     like         a       fading scream: the ravisher     and the                    
        chased
Turned i     nto      one at last    : the voice T  
ereus shattered
Becomes the tiny           voices of night that the                God has scattered
I die in

change
Pain tore in    t       w   o
Lo       ve's s       ecret fac                      e
                    And                now I range.

"Amami, poiché io sono la mela e il sigillo celebrale" mi ha detto, o fui io a dirglielo. Ero un incubo senza pelle, avido di secrezioni materialistiche e ipersensibile alla luna. Ho corso per tutta la durata del rituale, in cerchio attorno al falò senza mai guardare chi mi fosse alle spalle, a patto che ci fosse davvero un'anima. Tremava lo stesso mio terrore nel presentimento di specchiarsi nei denti del giustiziere, non potevo raggiungere il peso adeguato e il traghetto non sarebbe neppure riuscito a lasciare la riva. Non mi spaventava affondare nei mulinelli accentrati, quanto il marcio della staticità della schiuma di ondina. Il ritmo diventa incalzante solo se lo strangoli, perché? Mille soli e mille satelliti io cucii sulla trapunta della sanità, fingendo di essermeli inventati quando era evidente il mio handicap mentale! Non ero mica destinata ad alcun lavoro pratico, gli ultimi petali secchi della sanità cadevano lentamente e purtroppo né pout pourri né tantomeno essenze aromatiche funebri erano sacrificabili. Il mercato era stato abolito.

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