"Nonna! Quanto è bella Venezia!" gridai, piroettando sul Ponte dei Sospiri mentre canticchiavo un motivetto in una lingua mai udita prima d'ora. Mi sporsi talmente tanto in prossimità del canale che ci caddi dentro, e anche se non c'era effettivamente nessuno con me e mia nonna non sapeva nuotare, ero sicura che sarei stata soccorsa. Una volta che fui totalmente immersa nella melma, mi risvegliai con la vestigia di una tachicardia: l'ultima parola che mi dedicò mia nonna prima di andarmene di casa fu "curati", dopo avermi docciata dal balcone; eppure, nel carillon di violenza tacita e impercettibile della mia infanzia, continuava a danzare il ricordo idealizzato delle gite in quella città surreale: sognavo di passare il mio ultimo giorno al mondo in una calle nascosta, e di essere calpestata dalla marmaglia turistica vicino al santuario di Santa Lucia che piangeva per i miei occhi. L'ultima volta che vi ero stata avevo appena compiuto dodici anni, e mia madre stava ancora tenendo intubata la sua salute; sorrideva ignorante e io giocavo con i miei cuginetti, di cui il maggiore condivideva con me la passione per l'umanismo. La casa di mia zia, che s'era trasferita appena sposata da quelle parti, mi piaceva molto: era moderna e luminosa, l'esatto opposto della palazzina anni '50 in cui abitavo. Mi ero sempre sentita in colpa per il disprezzo che covavo nei suoi confronti, ma ancora oggi m'agghiaccia pensare a quell'incubatrice d'angosce, in cui facevo pendant con l'umidità sul muro. L'arazzo dei corridoi fantasma di quei quattro piani non mi lascerà mai riposare in pace, e la nostalgia che tuttora covo m'inquina gli alveoli... come si può rimpiangere qualcosa d'aberrante solo perché fa parte dell'infanzia? Questa è una maledizione insuperabile, un sigillo sulle sbarre dei ricordi. Straordinaria l'esponenziale irrazionalità affettiva dei mocciosi, e persino le emozioni più pure contengono il verme della corruzione proprio perché in quanto innocenti possono essere rivolte anche alle mostruosità. Forse il senso della vita del bambino interiore è ricordare, e seppur la memoria sia stata progettata alla sopravvivenza molto spesso alza una nebbia troppo fitta. E stavo correndo su e giù per quelle scale granitiche nel sogno come da tutta la vita: scendevo di corsa a pancia vuota e col formicolio nelle ginocchia, e risalivo appiccicandomi alla ringhiera come un lumacone nell'umidità notturna.
Riemersi dall'humus onirico ormai rinseccolito per via del fragore di un vetro che si rompeva. Mi doleva la mascella, di certo avevo forzato i denti uno contro l'altro nel sonno, magari per mordere quei ricordi offuscati di inconsapevolezza puerile e trattenerli ancora un poco a lubrificare il mio eterno presente. Urtavano con le pareti del bagno delle urla concitate che non riuscivo a smembrare del contenuto logico, e perciò dilatai le orecchie per l'ansia che fosse successo qualcosa di spiacevole a Sabina (più per quella difensiva di salvaguardia personale che per illibata empatia). Tuttavia quel falsetto drammatico era un paio di ottave più alto del suo, perciò dedussi che doveva esserci un terzo soggetto tra lei e Demetrio... magari persino la fidanzata ipotetica a cui aveva accennato. Appallottolata nell'inerzia, rimasi in pausa fino a che la porta venne percossa nevroticamente e venni forzata a recitare in quella tragedia.
"Chi cazzo c'è in bagno?" latrò il giustiziere anonimo "Demetrio, dimmi chi cazzo hai nascosto nel bagno!"
In quanto ero stata investita del ruolo di "chi cazzo" non avevo più scuse, mi avevano trovata nonostante l'estraniamento psichico.
"Per piacere Ginevra, apri la porta" sentii Demetrio esasperare ogni singola sillaba, che invano tentava di forzare la maniglia.
Mi avvicinai come un equilibrista senza rete di protezione, schiacciando sul pavimento insensibile un dito del piede dopo l'altro. Dopo aver girato la chiave nella serratura, indietreggiai per nutrire l'illusione di tutela individuale. Una ragazza con i capelli rossi e gonfi, gemelli siamesi dei suoi occhi, contrasse il viso in un'espressione sempre più contrita; poi, passò ad ispezionare con lo sguardo la stanza fino a notare il sangue che deturpava il dominio candido della vasca da bagno.
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VITREO
AcakNei mondi vitrei non è necessario respirare, ma nel momento stesso in cui ti accorgi della presenza di qualche cosa essa svanisce. Questo è quello che sarebbe successo se avessi chiuso gli occhi.