Sto solo dormendo

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Quante materie grigie allineate levitavano in quell'angolo di toilette? Percepivo la mia e quelle di tutti i miei errabondi compagni pulsare in modo insopportabile, un'esperienza che ho sempre provato sin dalla più tenera infanzia, seppur il ricordo si sia dissolto come gocce in un bicchiere. Un altro gioco paranoico che mi tormentava consisteva nell'immaginario catastrofico di strutture che offrivano la cervice alla forza di gravità: mi chiedevo che effetto avrebbe fatto guardare in terza persona un servizio giornalistico in cui venivano mostrate le mie interiora intrecciate con quelle di tutti quei poveri malcapitati, e interrogarmi sul magro consapevole terrore che era finita proprio in quel modo. Difficile trovare colpe, altrettanto ardua farsene una ragione: i nervi del mio corpo marciavano sull'intimo desiderio di trovarmi nel medesimo dubbio, nell'astratta perplessità di chi anela ad un futuro variabile ma, tuttavia, reale!

La recondita volontà di materializzazione di me stessa, espressa negli archetipi di quelle fantasticherie retoriche, mi turbava a tal punto da accrescere il bisogno di tranciarmi la lingua cerebrale. Mossi istintivamente la mano verso quella di Sabina, ma la natura del gesto era cambiata. "Lasciamene un po' a parte, io non faccio così" esordii svincolandomi dal mutismo in cui mi intrappolavo senza rendermene neppure conto.

Lei mi considerò appena con la coda dell'occhio... in realtà non gliene feci una colpa, poverina!... doveva essersi smarrita tra il putrido fiumiciattolo venoso e il laghetto argenteo. Però che le fate siano ingannevoli e ammaliatrici è un luogo comune che sarebbe bene custodire nel proprio animo, specialmente quelle gialle! Non bisognerebbe sceglierle come proprie bussole, perché poi si nascondono talmente bene che non si vedono più neppure nel buio. Difatti la ragazza brancolò nella notte ancora un po', abbandonandosi ai rantoli della fame felina, e fu mio il compito di scuoterla dai conati di vomito che la possedevano.

"Vedi come ti fa stare? Già dai di stomaco, lascia perdere" scosse la testa Rashid, che aveva sigillato le braccia una sopra l'altra.

Sabina s'infiammò, ferendosi inconsapevolmente con la siringa. "Tu non devi proprio parlare!" gridò "Ti sei riempito del tuo fumo di merda e stai a posto. Non puoi capire, sei scemo!" le partì uno sputo che m'augurai non avesse scelto me come giaciglio, già esausta della mia maschera di autocontrollo.

"Non sono demente, sono solo più furbo di te" rispose l'altro, la cui noncuranza nascondeva un alone di preoccupazione e pena.

"Se vi preme a tal punto litigare come poppanti, devo chiedervi di uscire" s'intromise Demetrio, con stridente moderazione, strappando di mano gli attrezzi del mestiere a Sabina "Sai che tu qui non puoi nemmeno starci se fai le uscite di testa e ti senti male".

"Ti giuro su quello che vuoi che reco alcun disturbo!" promise piagnucolando e avvinghiandosi al suo avanbraccio "Però aiutami, ché io sto troppo male e mi tremano le mani."

Rashid fece un gesto di mano dal tono sbrigativo, gocciolante di pietà, come uno squallido dottorotto che ti ha appena compilato una diagnosi sommaria e non vede l'ora che tu esca dall'ufficio con tutte le tue dolenzie e i tuoi patemi al giunzaglio.

"E la signorina ha bisogno?" mi apostrofò mellifluo e scivoloso il vice del locale, mostrandomi i denti "Sa fare da sola?" continuò come se fosse un'imperdibile chance per rompere il ghiaccio.

Scossi con veemenza il capo, stritolata dalle liane della mia repulsione sessista e quelle dell'impazienza ricompensata; anche se avessi avuto lo stesso problema di Sabina, mi sarei ben curata di respingere quell'ambigua urbanità un po' anche per orgoglio. Ero cosciente della mia immagine, sovente accadeva che mi chiedessero se fossi addirittura maggiorenne (al tempo di queste memorie avevo raggiunto codesto traguardo da una sessantina di giorni appena, rapida come una staffettista) e si stupivano con pathos quando venivano a conoscenza delle mie condizioni.

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