L'attività mattutina tra l'ora della colazione e quella della merenda oggi si svolge in una stanza del terzo piano della struttura; siamo tutti riuniti davanti alla porta di legno dipinto di bianco quando una voce proveniente dall'interno ci invita ad entrare: l'aula è ampia ed occupata da tre file, ognuna delle quali composta da quattro banchi vicini su cui sono stati appoggiati alcuni fogli a righe e delle penne a sfera. Prendo posto in fondo alla stanza, dietro al tavolo più vicino alla finestra che dà sul giardino, mentre gli altri ragazzi si organizzano affinché possano stare vicino a qualche amico.
Lo spazio di fianco a me rimane libero e la donna che segue l'attività - una psicologa della clinica sui trent'anni, bionda, alta, slanciata e, soprattutto, molto sorridente - mi invita a spostarmi in modo da avere qualcuno alla mia sinistra. Io, però, rifiuto; lei insiste per qualche secondo ed, infine, per evitare una discussione, sono i miei due compagni a slittare verso di me.
La donna rivolge loro un sorriso grato, poi sospira: «Buongiorno, ragazzi.»
Gli altri rispondono all'unisono; io, al contrario, taccio.
«Alcuni di voi già mi conoscono» esordisce, «per altri sono un viso nuovo. Mi presento: mi chiamo Viola, sono entrata a fare parte dell'équipe medica di questa clinica cinque anni fa, quando ne avevo ventisette. Recentemente, i miei colleghi, Emma ed io abbiamo deciso di iniziare una nuova attività: scrittura creativa. Le sessioni si svolgeranno due volte a settimana, il lunedì ed il venerdì, subito dopo la colazione, in questa stanza» comunica.
Sbuffo rumorosamente, facendo voltare verso di me Elisa, la ragazza che siede davanti a me. Mi rivolge uno sguardo infastidito - evidentemente, lei è davvero interessata alle parole di Viola - per poi ancorare nuovamente i suoi enormi occhi scuri alla psicologa, che riprende il suo monologo: «Davanti a voi avete un foglio ed una penna. Non vi abbiamo consegnato una matita ed una gomma perché lo scopo di quest'attività è farvi scrivere ciò che sentite, come lo sentite. Qui non sono importanti errori grammaticali, ortografici, sintattici o ripetizioni: lasciate che siano i vostri pensieri, così come vengono, a comporre il testo.»
Mi accorgo solo ora di una lavagna bianca dietro la sua figura. Su essa è stata scritta, con un pennarello blu e a caratteri cubitali, una consegna: «Scrivi una lettera al te stesso ancora bambino.»
Mi sembra una stronzata.
A quanto pare, però, gli altri non sono d'accordo: ognuno dei miei undici compagni è chinato sul foglio con la penna stretta in mano, e traccia con essa parole su parole. Io, invece, appoggio il gomito sinistro sul banco e sostengo la testa con la mano, guardando il giardino illuminato dai timidi raggi di sole oltre la finestra. Cosa diavolo potrei scrivere alla Méabh bambina e, soprattutto, a cosa servirebbe? Non leggerà mai la lettera; a farlo, invece, sarà una psicologa il cui unico obiettivo è trovare nelle mie parole una spiegazione per il mio comportamento, un indizio che potranno usare contro di me e che, quindi, non voglio fornire.
«Non scrivi?» domanda Viola, che si è avvicinata a me, a bassa voce.
Alzo le spalle. «Non ho nulla da dirmi.»
Lei accenna un sorriso; poi, in modo pacato, spiega: «Non devi dire nulla a te stessa, infatti. Devi parlare alla Méabh di cinque, sei, sette anni. Non siete la stessa persona.»
«Allora mettiamola così: non voglio che tu sappia cosa le direi.»
Aggrotta le sopracciglia, perplessa. «Cosa c'entro io?»
«Alla fine di queste due ore dovremo consegnarti i testi e tu li leggerai, interpretandoli.»
«Assolutamente no» replica, scuotendo la testa. «Ciò che scrivete è vostro e deve risultare utile a voi, non a me. Noi psicologi ascoltiamo unicamente ciò che avete voglia di dirci; non usiamo espedienti per ottenere più informazioni.»
«In ogni caso, non saprei cosa scrivere.»
«Prova» mi esorta. «Racconta quello che senti, fai considerazioni, dai insegnamenti. Prendi in mano la penna e lascia che i tuoi pensieri la guidino; vedrai, non riuscirai più a smettere.» Sorride; poi si avvicina ad Elisa: «Come sta andando?» le domanda.
Non seguo il loro discorso; invece ascolto i suggerimenti della psicologa, impugnando la biro ed appoggiando la sua sottile punta colorata d'inchiostro nero sulla prima riga del foglio. Rifletto per qualche secondo ed, infine, la lettera inizia lentamente a prendere forma:
Cara Méabh,
hai da poco compiuto sette anni e la tua vita non potrebbe essere migliore: finalmente la mamma ti ha iscritta alle lezioni di danza che sognavi da tempo, Conor è ancora abbastanza piccolo da non potersi ribellare quando lo vesti da bambina; quando lui non c'è, trascorri il tuo tempo al fianco di Rachele, con la quale coltivi un'amicizia che va avanti dai tempi dell'asilo; la sera, seduto sul tuo letto, prima di andare a dormire, papà inventa una storia solo per te, e non si arrabbia affatto se ti addormenti senza aver ascoltato il finale. Questo è anche il periodo in cui, a scuola, scopri la tua passione per la matematica; passione che, però, svanirà presto, durante gli anni delle medie.
Ho ventun anni, Méabh; ne sono passati quattordici dal periodo felice in cui ti trovi, e ho diversi consigli da darti: il primo è un invito a godere di quei momenti che, per fortuna, non termineranno prima dell'inizio del liceo. Lì incontrerai una persona e cambierai radicalmente: ti sentirai dapprima invincibile, e poi una nullità assoluta. Inizierai a non vederti più bella come una volta, smetterai di piacerti e di amarti.
E questo ti spingerà a dimagrire, perché sessanta chili, per te che sarai alta un metro e sessantanove centimetri, ti sembreranno troppi. Deciderai di eliminare i dolci, l'olio, il burro e qualsiasi leccornia fritta dalla tua dieta, ma non sarà tutto: infatti, mano a mano che il numero sulla bilancia calerà, amplierai l'elenco di alimenti esclusi aggiungendo gradualmente anche il pane, la pasta, le patate, i formaggi, il latte ed, alla fine, anche buona parte della carne. Di pari passo perderai anche ogni amicizia, compresa quella con Rachele - declinerai i suoi inviti ad uscire e, con il passare del tempo, lei smetterà di chiamarti. La incolperai, la reputerai egoista e non ti accorgerai che, in realtà, sarai tu ad esserlo. Però non ti biasimo, Méabh: ognuno ha le sue ossessioni. Alcuni sono fissati con lo sport, altri con qualche attore, altri ancora con l'ordine. Tu lo sarai col cibo, e poco ti importerà di tutti i minuscoli effetti collaterali che ciò comporterà.
Vorrei che tu potessi leggere le mie parole ed apportare piccole modifiche alle tue azioni; vorrei che fossi migliore di me a nascondere la tua ossessione, perché essa porterà la mamma, papà e Conor a soffrire tremendamente. Vorrei che non dessi nell'occhio perché Rachele, come scoprirai, non è stupida per niente: e sarà lei, alla fine, nonostante non vi parliate da mesi, a dare conferma ai sospetti della nostra famiglia. Da quel momento, tutti inizieranno ad attribuire al tuo nome un aggettivo che sentirai tuo solo in parte e di cui non condividerai il significato che gli verrà dato. Da quel momento, sarà un susseguirsi di menzogne: fingerai di essere malata e di voler guarire, fingerai di essere intenzionata a riprendere peso, fingerai di mangiare ed, invece, nasconderai tutto nel tovagliolo e, successivamente, nel gabinetto. E poi, un giorno di inizio agosto, durante gli allenamenti, il tuo cuore smetterà di battere. Ma non avere paura: ti salveranno. Ti salveranno e tu potrai continuare la tua corsa verso un tanto agognato peso piuma; ti chiederai quale sia, ma io non ho risposta: il tuo obiettivo non è un numero stabilito; tu ambisci semplicemente un numero più basso di quello del giorno precedente.
Cara Méabh, goditi i momenti che vivrai perché non torneranno più e, dai diciassette anni in poi, sarà difficile costruirne di altrettanto felici. Cresci a fianco di Conor, cammina insieme a Rachele; arrabbiati il meno possibile e ridi ogni volta che potrai farlo. Abbraccia la mamma e papà e, soprattutto, i nonni, che presto termineranno il loro viaggio. Studia, impara, fai e fatti domande; divertiti, ascolta la musica dal vivo e vai alle feste, ma evita di ubriacarti - la prima volta starai malissimo e la mamma si infurierà. Leggi, ridi, scopri nuovi posti.
Ti prego, Méabh, sii felice per entrambe.
Perché, a ventun anni, non lo sarai più.
E non sarai nemmeno sicura di poterlo essere nuovamente.
Méabh
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SPRING - Storia di una ragazza che deve reimparare a vivere
Ficción GeneralMéabh è stata da poco vittima di un arresto cardiaco causato dal digiuno che lei stessa, da anni, si impone. Ha sfiorato la morte, ma non le interessa. L'unica cosa che le importa è vedere il numero sulla bilancia diminuire ogni giorno. Costretta a...