03: "I'm here" [pt2]

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Canzone consigliata, da quando vedrete il simbolino [♪]: Ao No Kaori by Yui Makino

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«Dopo ciò ricordo soltanto una grande stanchezza, mi sentivo talmente tanto priva di energie che la testa mi è cominciata a girare. Ho visto tutto buio e sentito delle mani afferrarmi per i fianchi, ma non ho idea di cosa sia successo poi. So solo che mi sono risvegliata qui e che mi avete fatto più domande voi di quante me ne avrebbe fatte una commissione d'esame» conclusi con lo sguardo rivolto alle candide e pallide lenzuola che coprono parte del mio corpo.

Le pupille scure dei due agenti, invece, sembravano incollate alla mia figura, come volessero seguire ogni mio movimento e captare un'eventuale menzogna; li osservai di sbieco, quasi infastidita.

Feci passare gli occhi su entrambi gli uomini che da circa mezz'ora erano seduti sulle seggiole affianco al letto; oramai avevo memorizzato oltre ai nomi, Lee Jisung e Choi Minki, ogni minimo particolare visibile.

Il primo, che in altezza poteva benissimo fare invidia alla Seoul Tower, era magro e slanciato, una divisa blu gli avvolgeva le spalle alte ed il fisico muscoloso, il quale faceva a pugni con il volto, lievemente allungato eppure piccolo e dolce come quello di un bambino; mandibola a V, labbra carnose, naso a patata ed occhi piccoli con sopracciglia un poco folte erano contornati da dei capelli ribelli, neri come la pece.

Sembrava avere sui trent'anni, sicuramente aveva un tatuaggio vicino al polso, data la scritta terminata sul dorso della mano sinistra, e la fede che indossava mi fece intuire che fosse sposato: povera la persona che se l'era preso, in nemmeno trenta minuti era riuscito ad essere simpatico quanto Marshall D. Teach in One Piece e ciò non era un complimento.

Il secondo pensai fosse la sua spalla, poteva avere circa la mia età, ed era un tipo sicuramente più alla mano e carino dell'agente Lee.
Era minuto ed esile, aveva un viso ovale e tenero con delle labbra sottili tirate in un gentile sorriso; guance paffute, un naso fine sui cui vi erano appoggiati degli occhiali rotondi e degli occhi dal taglio asiatico; i capelli, biondi e lunghi, stavano raccolti in una piccola codina che spuntava da dietro la testa come un bel fiore in un prato.

Indossava degli orecchini a forma di croce, che davano l'idea di essere fatti d'argento.

Uno sbuffo lasciò le mie labbra, che inumidii passando la lingua su di esse: "Poco importa", mi dissi.

Non stavo mentendo, sapevo cos'avevamo visto e vissuto io ed i miei amici in quella sottospecie di bosco infernale.

«Siete convinti che vi abbia raccontato una marea di frottole, non è così?» domandai, rassegnata.

Effettivamente, nemmeno io ci avrei mai creduto se me lo avessero raccontato.

«Assolutamente no» ribatté il poliziotto più basso, Choi, rigirandosi tra le dita la biro con cui aveva preso appunti dal primo secondo in cui avevo cominciato a parlare «Il suo racconto coincide alla perfezione con quelli dei suoi quattro amici e non vi vedete da due giorni, precisamente da quando vi hanno prestato soccorso portandovi qui, di conseguenza non potete esservi messi d'accordo» specificò, esponendo il suo pensiero ed infilandosi nella tasca della giacca il taccuino.

L'altro agente, tuttavia, la pensava diversamente.

«Oppure è tutta una sceneggiata e si erano accordati prima di arrivare a Gonjiam» borbottò Lee con una sfrontatezza che ebbe il potere di irritarmi in meno di due secondi.

La sua voce e la sua presunzione mi infastidirono più di quanto già non avesse fatto fino a quel punto, il suo modo di porsi mi faceva venire voglia di prendere un taser e dargli la scossa fino a quando non sarebbe diventato più educato o con almeno un filino più di tatto nel dire certe cose.

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