•CAPITOLO 1•

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Guardo il cielo stellato sfaldarsi a causa dei grattacieli troppo alti che lo spezzano a metà. È gennaio, ed io ho troppo freddo per riuscire a respirare, per riuscire a muovermi, per riuscire anche solo a sopravvivere.
Le strade di Madrid il mercoledì sera non sono affollate, giusto qualche taxi qua e là. L'aria pungente attraversa il mio naso poco coperto dalla sciarpa e dal mio naso inizia a colare la prima rugiada invernale che mi appresto ad asciugare in maniera sciatta con la mano ormai violacea a causa del freddo. Le luci della sera iniziano a svanire, le finestre degli appartamenti spengono la luce per dedicarsi ad un film da guardare con la propria famiglia, partner o semplicemente loro stessi, mentre altri si intrufoleranno nel loro letto dentro le soffici coperte calde per recarsi al solito lavoro come ogni mattina.
Mi piace osservare queste finestre, questi piccoli dettagli, sono giorni che ci presto attenzione e pagherei ogni particella della mia anima per poter entrare in una di quelle case e godermi il loro profumo.
Ed invece mi trovo qui, su questo marciapiede ruvido e freddo a Calle de Preciados, bagnato a causa della brezza con una misera coperta sotto di me, l'unica cosa che potevo permettermi da quando sono stata cacciata di casa.
Sento i miei occhi pizzicare, segno che un nuovo pianto è vicino, ma devo essere forte per me stessa. Sono sola. Senza un soldo. Devo trovare un lavoro, ma anche questo non è semplice, specialmente nelle mie condizioni. I miei capelli biondi sono secchi e sporchi, la mia pelle che prima somigliava ad una pesca adesso si ritrova screpolata a causa del freddo. I miei jeans sono macchiati, il mio maglioncino lascia un odore che fa ribrezzo a me stessa, non voglio immaginare agli altri. Sono tre giorni che non faccio una doccia. A volte provo un dolore così forte che credo che l'unica soluzione sia morire, ma non posso farlo se ho giurato a me stessa di lottare con i denti per vivere serenamente la mia vita. In qualche modo, ci riuscirò. Osservo le stelle, sfregandomi le mani e sbuffando sopra di esse per generare un po' di calore e assieme ad esse mi sento meno sola.
Recupero la mia chitarra, sono riuscita a portarla con me nonostante il trambusto che ha causato la mia famiglia e la loro fermezza nel cacciarmi di casa. È grazie a lei se riesco ad ottenere un pasto al giorno, purtroppo riesco a recuperare pochi spiccioli, tra artisti di strada a Madrid la concorrenza è molto alta ed io sono una semplice autodidatta, ma non mi lamento. Spero che a giorni riuscirò quanto meno a permettermi una stanza a ore in cui posare la schiena. Ce l'ho davvero a pezzi. Decido di incamminarmi verso il piccolo parco di fronte a me per non disturbare con la mia musica i condomini che stanno riposando, poso la mia piccola coperta sulla panchina ed inizio a suonare e canticchiare Wake up Alone di Amy Winehouse. Il fruscio delle foglie mi entra solletica il timpano, sembra di essere in una dimensione sovrannaturale, atmosfera perfetta. Suonare mi aiuta a scaldare finalmente le mani anche solo per un po'. Il sonno inizia a farsi sentire e anche questa notte la passerò sotto le stelle, con la speranza che domani è un altro giorno.
Varrà sempre la pena lottare, anche se il tuo essere interiore cade a pezzi.
Mi lascio coccolare dal rumore della notte, sperando che l'indomani sia solo un brutto sogno e di risvegliarmi tra le mie calde coperte. Anche se dentro di me so che non succederà mai più. Sento le mie palpebre farsi pesanti, con la mia mano sinistra stringo il piccolo plaid sotto di me e lentamente scivolo in un sonno profondo, dove finalmente posso stare in pace.
Una goccia, due, tre, apro gli occhi ancora impastati a causa del sonno, il freddo ha gelato le mie ciglia rendendo i miei occhi appiccicosi e infiammati. Sta piovendo ed io me ne sono accorta solo adesso. Sono completamente zuppa, devo correre immediatamente al riparo o andrà a finire che mi beccherò una bella febbre, o ancora peggio una polmonite.
Ad occhio e croce sono le sei del mattino, le prime luci della città iniziano ad accendersi e per fortuna nessuno ancora è troppo in giro. È umiliante apparire in questo stato. Sento il mio stomaco brontolare, ma dubito che oggi riuscirò a fare entrare qualcosa nel mio organismo che non sia acqua, con questa pioggia la possibilità di poter raccogliere qualche soldo è scarsa. Mi reco alla prima fontana che trovo e mi avvicino ad essa per dissetarmi e sciacquarmi la faccia meglio che posso.
Vorrei entrare in un bar senza destare sospetti ed intrufolarmi nel loro bagno per potermi dare sciacquata. Magari con dell'acqua tiepida. Ma se non effettuo una consumazione verrei cacciata in malo modo e credo che per il momento il mio ego abbia subito fin troppe umiliazioni.
Mi introduco nel primo vicolo cieco protetto per non prendere altra acqua, sono fin troppo zuppa. Ho addirittura i calzini ricolmi di acqua. Ho freddo. Sono affamata.
Ho la chitarra con me, tentare non nuoce. Poggio la coperta ancora bagnata sotto di me, sento il retro dei miei jeans innondarsi "perfetto, ci manca anche la chiazza in quel punto" penso tra me e me.
Inizio a suonare, canticchiando melodie totalmente casuali; sento le mie mani iniziare a scaldarsi a contatto con il nylon e sento i miei pensieri diventare leggeri a poco a poco. Amo l'arte e ogni sua forma, dimensione, colore, emozione. Specialmente la fotografia, quanto mi manca la mia reflex. Quanti ricordi ho con essa, ma purtroppo non la ho con me. Mia madre l'ha scaraventata per terra, frantumandola in mille pezzi, credo che una parte di mie sia stata gettata via assieme a quella macchina fotografica. Sono riuscita a salvare solo la mia chitarra, e per fortuna aggiungerei. Senza di essa sarei già morta di fame.
Sento un rumore di passi alla mia destra, odio che le persone mi vedano in queste condizioni, senza dignità. Ma è già un miracolo che qualcuno abbia il coraggio di passare di qui, in questo vicolo infestato da topi, con una pioggia che per il momento non ha intenzione di cessare. Il rumore di in tuono rimbomba facendomi sussultare su me stessa ed ecco che sento una voce.
<<Se hai paura dei temporali non è il caso di fare un concerto all'aperto, tu non trovi? Hai saltato una nota>>.
È una donna, il suo timbro e rauco, tremendamente suadente, sensuale, deciso. La mia spina dorsale si riempie di brividi. Sia per la vergogna che provo in questo momento, ma principalmente da quel tono di voce così soave alle mie orecchie.
Ricorda il canto di una sirena, a primo impatto ti crea dipendenza, ma sai che verrai mangiato da un momento all'altro. Non riesco a trovare il coraggio di alzare lo sguardo. Non ci riesco. Sento il suo profumo invadermi le narici e i suoi passi sempre più vicino a me. Fino a che davanti ai miei occhi non trovo delle loubouten nere, lucide, perfette. Sento un odore di rosa mischiato all'odore forte del tabacco. Ed ecco che trovo il coraggio di alzare lentamente il mio sguardo sporco verso questa donna, di cui ancora non conosco la fisionomia.
Non ho mai visto tratti così particolari in una persona. La sua figura è minuta, indossa un talleur nero con un impermeabile in pelle del medesimo colore. La sua pelle è candida come la neve, i suoi zigomi sono scolpiti alla perfezione. Il suo naso ha una forma allungata e stretta, si allinea perfettamente al suo volto. E i suoi occhi. Dio i suoi occhi hanno un colore indecifrabile, sono oro puro. Riesco a vederli luccicare anche al buio di questo vicolo. I suoi capelli sono neri come la pece lunghi fino a metà spalla e non si spostano di un millimetro, così come la frangetta che ricade sulla sua fronte in maniera impeccabile.
Provo un estrema vergogna e repulsione verso me stessa di fronte a questa creatura meravigliosa che mi guarda dall'alto. La vedo frugare nel suo portafoglio ed estrarre una banconota da cento euro.
Si china e me la porge, guardandomi intensamente negli occhi, vorrei poter distogliere lo sguardo ma è come se un qualcosa mi tenesse incollato ad essi, un esperienza mistica. Una sensazione mai provata prima.
Non riesco a proferire parola che lei, si lecca il labbro inferiore, mordendolo con forza e si rialza immediatamente ricomponendosi.
<<Grazie..>>. Non faccio in tempo a dire questa parola che lei già mi dà le spalle, alzando il cappuccio dell'impermeabile.
<<Zulema>>. Conclude lei la frase. Che nome particolare. Non ho mai sentito nessuno chiamarsi in questo modo. Allora decido per quanto possibile di ricambiare la presentazione, riprendendo in mano la mia chitarra.
<<Io sono Macarena>>. La vedo voltarsi e farmi un cenno col capo per poi continuare per la sua strada. Ed io resto li, immobile, incantata da questa bellezza senza termini di paragone finché la sua figura non sparisce dalla mia vista.
Un tuono rimbomba nuovamente nelle mie orecchie ma cerco di non farci caso; comincio nuovamente a strimpellare la mia chitarra per calmare questa emozione che mi sta travolgendo. Possibile che qualcuno possa lasciare un impronta tanto indelebile in un millesimo di secondo?.
Decido di lasciarmi trasportare dalla musica per placare il mio cuore che sembra esplodere e resto li, in quel vicolo, con la speranza di vederla nuovamente sbucare da una delle due estremità.

___________________________________________Ecco a voi una nuova storia, le idee sono molte e l'ispirazione è tanta. Lasciate una stellina o anche dei commenti se vi fa piacere. Sarei curiosa di conoscere il vostro parere. 🌟❤️

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