SOLITUDINE PT.2

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DAL CAPITOLO PRECEDENTE
Poggio la testa sul mio cuscino ma un'idea mi viene in mente. Mi alzo dal letto e afferro lo zaino vicino la scrivania, metto dentro qualche felpa e rompo il salvadanaio, afferro le banconote e le metto nella tasca anteriore. Sempre piangendo scappo dalla finestra, cadendo sul prato morbido ma urtando qualcosa contro dei sassi.

La caviglia mi fa male, ma meno del cuore.

Corro velocemente tra le strade di questa via poco trafficata, mi sento libera, finalmente libera.

Sento il telefono vibrare nella tasca dei miei pantaloni, so già chi è, ma non voglio rispondere, non ora.

Mi fermo in un parco che non ho mai visto, non sono mai venuta in questo posto, c'è una grande fontana al centro con delle panchine malandate accanto ad essa. Mi siedo su una di queste, fa tanto freddo e penso stia iniziando a piovere, vorrei trovare riparo, ma ci sono solo alberi e non penso sia una buona idea nascondersi sotto questi ultimi nel bel mezzo di un temporale.

Stringo le gambe al petto e poggio il mento sulle ginocchia, le lacrime continuano a scendere copiose sulle guance, cosa ho fatto di male per meritarmi questo? I miei genitori biologici non mi hanno mai voluta, sono stata picchiata fino agli otto anni, mi ricordo ancora il giorno in cui vidi l'assistente sociale spalancare la porta insieme ai poliziotti. Non potrei neanche mai dimenticare quando i miei papà sono venuti ad adottarmi. Si tenevano per mano e sorridevano tantissimo, la loro gioia mi contagiò appena scoprì che avessero ottenuto finalmente il mio affidamento, dopo mesi di lotta con il giudice.

Tornando al presente, il mio telefono continua a squillare e suonare per i messaggi. Lo prendo in mano, accetto la chiamata ma non fiato.

"Amore ha risposto! Piccola dove sei? Non farci preoccupare, hai ragione, ti stiamo trascurando in questo periodo, tu prego perdonaci, tu sei la nostra prima gioia, la nostra luce alla fine del tunnel, ti prego torna a casa, ti giuro che andrà tutto bene"

I singhiozzi non cessano, anzi aumentano fino a non farmi respirare.

"P-papà"

"Luce dei miei occhi, dove sei, papà ti viene a prendere"

Papà Lou strappa il telefono dalle mani di papà Haz e mi sussurra queste parole.
Prendo un respiro profondo e decido di parlare, non posso vivere senza di loro.

"Sono al parco vicino scuola dei gemelli"

"Non muoverti, sto arrivando"

Continuo a stringere le gambe al petto e alzo di scatto il viso quando sento il rumore del motore di un'auto.

"Piccola!"

Papà Lou corre verso di me e mi solleva, lego le gambe intorno al suo corpo e affondo la testa nel suo collo.

"Cavolo Haylee che spavento, ti prego non farlo più, scusami tanto bambina mia, non dovevo trattarti così"

"Andiamo a casa papà?"

Lui senza rispondere va in auto e mi dà la sua felpa poggiata nei sedili posteriori, il viaggio in macchina trascorrere tranquillo, senza musica o parole, con la sua mano sulla mia sul cambio della marcia.

Arriviamo a casa e ad accoglierci c'è un uomo alto e riccio con le lacrime agli occhi, chi potrebbe essere se non papà Haz?

Mi strappa dalle grinfie di papà Lou e mi sussurra tantissimi "scusa" e "ti voglio bene". L'altro papà ci stringe tra le sue braccia e mi bacia la testa. Sento quattro piccole manine toccare i miei capelli, do un bacetto ai due bambini tra le braccia di mio padre e stringo la mia famiglia a me.
Loro sono tutto per me.

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