Nelle belle giornate era possibile osservare le colline dalle torri principali della Lefevre; il cielo doveva essere limpido, si doveva essere fortunati a non farsi beccare dai sorveglianti e a volte anche abili equilibristi per poter arrivare al tetto e stendersi sulle tegole calde.
Conoscere bene ogni corridoio e ogni angolo della scuola giocava a favore di chi volesse arrivarci, ma a lui non serviva. Lui sapeva già come farlo.
Il vento quel giorno muoveva le foglie degli alberi, soffiava via tutti i problemi da affrontare e per un attimo faceva provare quei brividi di freddo lungo la schiena. Ma lui era l'unico a non avere la pelle d'oca.
Per essere agli inizi di febbraio era ache abbastanza caldo, il sole era ormai stanco di splendere e un tramonto in erba rendeva rosee le poche nuvole. Il crepuscolo, da sempre, è il momento più calmo della giornata, e se fosse scritto su carta sarebbe una poesia.
Lui, invece, amava l'alba.
Il disordine, il rumore, i problemi, i pensieri erano tutti abbandonati sotto le sue mani, sotto le tegole tiepide che sfiorava con la punta delle dita. Sotto le sue scarpe potevano esserci litigi, pianti, risate, bei momenti o tremende scenate, ma lui camminava tranquillo sopra tutto, con lo sguardo puntato verso l'alto.
Si sedette nel punto più alto, dove i due corridoi principali dell'ala est e nord si incontravano, dove le tegole bruciavano di più sotto i suoi palmi, dove sapeva che avrebbe trovato la pace di cui aveva bisogno.
Quel venticello riusciva a scompigliargli i capelli color carbone, ma senza renderli disordinati, senza spettinarli, solo scompigliandoli riusciva ad evidenziare il fatto che era fermo, sempre lì, mentre il resto sembrava voler volare via.
Qualche sbuffo d'aria correva tra gli spiragli della camicia, tra i primi due bottoni slacciati, dal colletto sgualcito e dalle maniche tirate su fino ai gomiti; gli ultimi raggi di sole accarezzavano la pelle scoperta, colpivano gli occhi senza farli chiudere, come se non volessero cedere a tutta quella luce.
Sospirava di tanto in tanto, lasciava che il freddo gli entrasse nei polmoni, li riempisse come per farli diventare ghiaccio e quando espirava, con l'avanzare della sera, una leggera nuvola di vapore lasciava le sue labbra.
Pensò a come il suo nome veniva pronunciato con autorità dal padre, quando faceva qualcosa di proibito, e allora non osò immaginarsi cosa gli sarebbe accaduto quando quando avrebbe confessato tutto. Non osò immaginarsi il tono deluso, sorpreso, colpito e infuriato, ma ci pensò... ci pensò per molto tempo, fino a capire che la miglior soluzione era il silenzio.
Non aveva rimorsi, ma il senso di colpa non faceva altro che aumentare ogni secondo.
Rimase a rifletterci, a dettare il tempo era il cielo, che si lasciava leggere meglio di quanto un libro potesse mai fare. Quando arrivarono le stelle, lui iniziò ad appoggiare la testa, a lasciare che il cigolio delle cicale facesse da ninna nanna, e così si abbandonò al sonno.
-Ehi Giorgi, qui dentro dov'è che fate colazione? Tipo in una grande mensa come per il pranzo e la cena o uscite proprio ed andate in quei ristoranti snob... O è tipo Hogwarts? Con le candele e gli elfi schiavizzati che vi servono? Che figata sarebbe...-
Clary già dalla prima mattina aveva voglia di parlare, discutere, sognare ad occhi aperti e scherzare; aveva una risata forte e rumorosa, da riconoscere a miglia di distanza.
Non aveva un filtro tra pensieri e parole, delle volte i suoi commenti erano imbarazzanti, Georgia li riteneva maleducati.
-Clary, c'è il bar nel giardino dopo i cancelli, la caffetteria nel parco dell'ala est e un altro bar per gli alunni dopo l'aula magna. Pensi davvero che serva un "ristorante snob"?- fece roteare gli occhi, stufa di tutte le battutine.
-Era per chiedere.... sai anche in quali aule ci spostano? Tipooo...- la interruppe subito, prima di ascoltare l'ennesima fantasia strana che poteva tirar fuori.
-NO. Non lo so. Chiedi ai sorveglianti o consulta la bacheca per gli alunni, la trovi all'entrata- detto questo Georgia sbuffò, si diresse verso la porta, già pronta in divisa per la giornata di lezioni, e se ne andò.
Nella stanza, tra i due letti, Clary era rimasta piuttosto sorpresa dalla reazione infastidita. Rimase seria per qualche secondo, poi sbuffò divertita:
-Pff... "consulta"... ma come parla?!-
La professoressa Laurent muoveva la mano con grazia lungo la grande lavagna, il gesso le tingeva leggermente le punte delle dita. Il foulard che aveva legato al collo svolazzava quando scriveva velocemente, come la lunga gonna blu che roteava.
-Madame, i temi della mostra di venerdì devono essere presentati tutti entro domani?- chiese un alunno dal fondo dell'aula, mentre la sua voce riecheggiava tra i banchi e gli alti scaffali di libri.
-Si, certo signor Martin, entro domani voglio tutti i vostri lavori, così avrò più tempo per controllarli e dirvi se vanno bene o meno. Qualcuno, a tal proposito, ha qualche domanda?- chiese con voce curiosa.
-Si, Madame. Per il tema dell'autoritratto non sono riuscito a scattare nulla che mi piacesse, ma volevo proporle un'altro tipo di scatto. Posso parlargliene a fine lezione?- la voce di un ragazzo, ferma e sicura di sé, raggiunse l'orecchio attento della professoressa, che annuì sorridendo.
A fine lezione, quindi, come concordato, nella grande aula rimasero la donna e l'alunno, con vari fogli in mano, tra cui bozzetti, schizzi, appunti e un paio di foto.
-Vede, sono particolarmente affezionato a questo scatto e ci terrei a presentare questo alla mostra, se per lei va bene- sorrise lui, con un briciolo di speranza nella voce.
-è davvero... particolare, signor Moreau. La luce è ben distribuita, il soggetto è centrato correttamente e dal punto di vista tecnico il lavoro è quasi impeccabile- osservò Laurent, facendo innervosire il ragazzo a quel "quasi".
La sfacciataggine dello studente lo portò ad aggiungere: "Intravedo un Ma, Madame".
-Dov'è che ha trovato un soggetto così paziente da rimanere in posa fino a quando tutto non era al suo posto? Per meglio dire, se posso, chi è costui?-
La domanda diede fastidio al ragazzo, non voleva ammettere di non conoscere effettivamente quel certo Dennis ritratto in foto, ma allo stesso tempo non poteva mentire a madame Laurent.
-E' uno studente della Debois, penso, Madame. E' uno scatto che ho fatto passeggiando per i corridoi, nemmeno si era reso conto di esser stato fotografato. Dopo poco si è accorto di me, ma non ha detto nulla riguardo al non voler essere fotografato- spiegò lui, guardando dritto nei due occhi grigiastri della professoressa.
-Timothée Moreau, ti do il mi consenso. Lavoraci su, dagli un titolo e termina il progetto. Per venerdì devi fare i fuochi d'artificio, capito?- il fatto che non avesse dato del lei all'alunno fece rimanere un pò sorpresi entrambi, ma dopo poco l'orologio li fece risvegliare da quel silenzio di tomba.
-Non deluderò le sue aspettative, promesso- sorrise infine Timothée, contenendosi dal saltellare per tutta l'aula.
-bene, lo spero. Devo andare ora, buona giornata- si congedò Laurent, girandosi e attraversando tutta l'aula, dalla grande cattedra fino all'uscita.
Il sorriso nel viso di Timothée rimase lì, come una macchia di pittura in una tela immacolata.
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QUANTO PROUD OF Timothée :)
Ho impiegato un'intera notte per cancellare e riscrivere tre volte (anche di più ma shush) la prima parte, per non parlare di Georgia modo snob.
Se vi è piaciuto, lasciate una stellina o un commento :)
bye and all the love <3
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The Name of Love
Romance"Amami o odiami, entrambi sono a mio favore. Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore... se mi odi, sarò sempre nella tua mente" lesse ad alta voce lui, sotto la luce fioca della candela che gli scioglieva lo sguardo; accarezzava le parole con la stessa...