Capitolo 1

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"Se state leggendo questa lettera significa che sono morta, cioè che ho trovato l'occasione per fare l'unica cosa giusta della mia vita. Chissà,  magari mi sono buttata da un palazzo, magari mi sono fatta investire da una macchina o da un autobus, magari potrei essermi lanciata sotto al treno, oppure ancora potrei essermi affogata o avvelenata, o semplicemente mi sono trafitta con un coltello da cucina.
Insomma, fatto sta che ora probabilmente sono felice e non sono più un peso per l'umanità.
Ho lasciato posto a chi questo mondo se lo saprà godere e dargli un senso, e so che anche tutti voi sarete felici che io non sia più lì a disturbare le vostre vite.
Detto questo, so che nessuno piangerà per me e che nessuno mi farà un funerale, quindi chiedo ai mei genitori di fare solo una cosa, buttate tutte le mie cose in giardino e poi dategli fuoco, non voglio che al mondo resti alcuna traccia di me.
Ora è meglio se esco dalle vite di tutti, dimenticatemi tutti, ora mi godo il dolce calore dell'inferno per l'eternità, senza pesi sulla coscienza, perché so che ho fatto la cosa giusta."

-Light

"Light, è pronta la cena, scendi" mia madre mi chiama ed io le rispondo con un semplice "Arrivo".

Prendo il foglio che ho appena scritto e lo ripongo all'interno di un libro fatto di cartone, in modo che nessuno lo possa trovare.

Infilo le pantofole che avevo lasciato accanto alla porta e scendo le scale silenziosamente.
Non mi è mai piaciuto il rumore, era fastidioso, e mi metteva ansia.

Arrivo in cucina e mi siedo sulla solita sedia posta in fondo al tavolo, più lontana dagli altri membri della mia famiglia.

Mia madre ha preparato le polpette. Sono buone, ma non mi va per niente di mangiare; ad essere sinceri è da qualche tempo che non ho mai voglia di mangiare, e credo che questo si noti, visto il mio evidente calo di peso. Ma ciò non mi preoccupa, anzi, ne sono quasi contenta, è un altro passo in più verso il mio unico obbiettivo.

Mangio un po' e subito dopo aver finito vado a rifugiarmi in camera mia.

Ai miei genitori non importa minimamente di me o di come mi sento. A loro importa solo che prenda bei voti a scuola, cosa che non faccio, e che io abbia una famiglia e una lavoro, cose che non farò perché se mai mi sposerò lo farò con una donna, e di sicuro prima dei vent'anni sarò morta.

Mi rifugio nei miei pensieri mettendomi le mie cuffie e accendendo la musica sul mio telefono.

Senza rendermene conto, sto camminando per la mia stanza e arrivo fino al bagno che è confinante con la camera, ed è solo mio per fortuna. Se mia madre sapesse le cose che faccio o che tengo nascoste lì dentro probabilmente mi controllerebbe come una guardia carceraria.

Mi guardo allo specchio e guardo il mio viso magro. I miei occhi sono delineati da evidenti occhiaie color violetto scuro.

Dopodiché torno in camera e mi butto di peso sul mio letto.

Mi tornano in mente tutti i momenti della giornata, tutto quello che vorrei dimenticare. Riaffiorano nella mia mente tutte le parole dette da quelli che pensavo fossero miei amici, le parole dette dai miei genitori quando non riesco in qualcosa; le loro urla di quando mi dicono che non sono abbastanza, quando dicono che sono stupida e che non avrebbero mai voluto una figlia come me, che sono solo una delusione.

Per loro è come se a me non importasse, come se non soffrisse sentendomi dire quelle parole dalle persone che mi hanno fatto il torto più grande che avessero mai potuto farmi, cioè darmi la vita.

Sono stanca, davvero stanca. Stanca di tutto quello che riguarda la vita. Non voglio più stare qui. Non voglio più sapere nulla di questo mondo.

Senza rendermene conto, mi accorgo che sto piangendo, ma ormai ci ho fatto l'abitudine.

Mi alzo dal letto e mi avvicino al cassetto del mio comodino. Tiro fuori un temperino smontato. Non lo faccio apposta, ma è più forte di me, e in un certo modo mi fa stare un po' meglio.

Prendo in mano la piccola lama che ho staccato dall'oggetto e traccio una linea sul mio braccio sinistro con essa.
È da parecchio tempo che faccio questa cosa quando mi sento male, e devo ammettere che non è terribile come sembra.

Continuo a tracciare ancora linee con quell'oggetto, ormai ne avrò fatte almeno dieci o dodici.

Comincio a vedere delle piccole gocce di sangue scorrere dalle ferite appena fatte, e ri mango lì a guardarlo scendere per un po'.

Qualche minuto dopo mi siedo alla mia scrivania, prendo il mio quaderno e una penna e comincio a scrivere. Questa cosa mi rilassa, mi fa dimenticare tutto quello per cui soffro, mi sento come una nuvola che vola sulle storie che scrivo, e quindi passo le ore così.

Quando alzo la testa e guardo l'orologio, notò che sono le tre del mattino. Decido di provare a dormire, ma so già che non ci riuscirò.

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