Aspetto la metropolitana alla stazione della trentatreesima strada con il mio caffè doppio caldo tra le mani.
Mancano appena venti minuti alle otto di sera, ma ne ho un bisogno impellente che altri non potrebbero capire.
Che nessuno potrebbe capire.
Il vagone semideserto si ferma davanti a me, salgo e mi siedo.
Nei sedili difronte al mio una bambina di cinque o sei anni gioca con la mamma, ride e le fa le linguacce.
Mia figlia Kelly ha otto anni ed è sempre stata troppo timida per giocare in pubblico.
Anche a casa, quando venivano a trovarci gli amici, stava seduta sul divano a leggere o farsi coccolare. Mai fuori posto, mai eccessiva, mai un capriccio. Solo ultimamente è più stressata e triste, ma ne ha ottimi motivi, gli stessi che giustificano il mio caffè all'ora di cena.
Ci sono giornate che vorremmo non iniziassero mai e invece finiscono con la disperata ricerca di caffeina, perché nelle sedici ore in cui sei sveglio e vivi ti accorgi che la realtà, per quanto brutta, è meglio degli incubi.
Oggi è una di quelle.
Mio marito mi messaggia, mi dice che la cena è quasi pronta e la bambina ha già il pigiama, che ha fatto i compiti e che a danza era bravissima, sempre attenta e in prima fila.
Mi dice che mi ama e mi chiede come sto.
Poi allega una foto di Kelly col pigiamino rosa che mi fa una boccaccia.
A me, nel privato, le ha sempre fatte.
E il mio cuore sussulta vedendo che le fa ancora, che ride ancora, come la bambina che avevo seduta davanti fino a un attimo fa, e che ora ha lasciato un posto vuoto davanti a me, scendendo alla sua fermata con la mamma per andare chissà dove.
Vivian aveva dieci anni, faceva boccacce in pubblico e in privato, correva sempre e giocava rumorosamente anche quando le dicevamo di non farlo.
Kelly la guardava quasi a rimproverarla, ma forse una parte di lei invidiava quel suo essere così attiva sempre, non solo con indosso le scarpette da danza.
Poi Vivian si è ammalata, e poco per volta i suoi rumori sono diminuiti, lasciando spazio alla poca confusione che la piccola fa girando le pagine dei suoi libri o provando i suoi passi da danza.
E alla fine ci ha lasciati, ha lasciato la sua sedia vuota.
Ma anche il letto, la sua camera, il suo posto sul divano, i suoi giocattoli, la divisa del basket, la cartella della scuola.
Proprio come la bambina delle boccacce è scesa alla sua stazione, senza che potessimo capire perché, senza che ci dovesse risposte.
Solo che la bimba di prima è scesa con la sua mamma, magari mano nella mano.
Vivian no.
Vivian è scesa da sola.
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Troppo piccoli per capire
Chick-LitOphelia sta cercando di sopravvivere al dolore più forte di tutti, la perdita di un figlio. La sua Vivian, dieci anni, si è ammalata ed è morta nel giro di pochissimi mesi lasciando dietro a sé la disperazione di due genitori e di Kelly, la sua so...