E suonò la campana a spezzare
la mattina di quella domenica.
Così gli ultimi ritardatari
mossero passetti più veloci per
accaparrarsi i posti austeri.
Si alzarono tutti in piedi e,
scrutanti attenti la processione,
dall'ingresso fino ad arrivare
all'altare biancheggiante e ricco;
le anziane signore sventolano
fazzoletti, tutte devote alla
croce sospesa in quella saletta.
Il prete salutava con lo sguardo,
riconoscendo i falsi credenti,
salì quei gradini trotterellando,
guardò i ministranti, quella platea
che occupava il posto del coro
ma che proprio coroaulico non era.
La varietà di visi era lampante:
chi ancora assonnato, chi stanco,
chi gioioso e poi c'era lei, là, lei.
Una ragazzetta tanto carina di
aspetto, quanto poco affidabile
dato il suo buonissimo buonsenso.
Oh ma che bellezza trapelava dai
suoi occhietti, e quelle sue guanciotte
rosse scarlatte, mai quanto le labbra!
Sfoggiava un sorriso malizioso,
mento in alto per allungare la
scollatura dell'abito rosellino.
E via con le letture dei libretti,
troppo lente o troppo traballanti.
E via così errori di pronuncia,
di riletture personali delle
epistole, i sospiri del parroco.
Che caro quel bambino scivolante
dalla sedia, la madre che lo scuote,
il vangelo viene letto tra sbuffi.
Ma eccolo il nefasto misfatto!
Dove scintillanti doni vengono
offerti all'amore e lei sfila giù,
prende il cesto e fa un inchino
facendo alzare la gonna, e dei
signoretti piegano il cappello.
Su e giù per la navata centrale,
la sua cesta è piena piena, zeppa.
È tempo di un nuovo inchino ma...
il ticchettio fragoroso cessò.
A questo si sostituì un urletto.
E giù per terra, rovinosamente!
Le monete ruzzolarono via dal
cestello, e lei rotolò sgraziata,
e uscì fuori il sagrestano che ne
incassò alcune, tutti gli uomini
accorsero in aiuto a lei sola.
Le donne, indignate, ripresero
quello che era stato devoto a Dio.
Il parroco urlò proprio a costui,
quel Dio che tanto ama e osanna tanto.
Slacciò il colletto, lasciò la chiesa.
Oh ma gli occhi della ragazzetta!
Il vestito lacerato più della
sua precaria dignità femminile.
Si alzò, la sua gonna ondeggiante,
ma ruzzolò sui gradini candidi.
Il tacco virtuoso si staccò dalla
sua bella scarpina e riprovò, ma
si accasciava esamine a terra.
Allora gli uomini premurosi,
come fanno i prodi cavalieri,
si dileguarono subito dopo
il richiamo focoso delle mogli.
Dal coro si levò un lieve riso,
come a dire <Ben ti sta bellezza!>
Diretta già fino alla sacrestia,
oh, si nascose dentro, nella stanza,
con la chiesa intonante un riso.
Lei, furiosa, per aver logorato il
suo amato vestitino rosellino.
Singhiozzante come un uccellino
allontanato, ahimè, dal suo nido
stava seduta su una sediolina.
Asciugò le lacrime, quei rivolini,
e incontrò una maestosa figura,
riflessa di fronte, opposta a lei.
Tornò anche il musetto malizioso,
ammaliato da quella musa grata.
Pianino, piano, pianissimo urlò:
<Bellina, bella, bellissima sono!>
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La ragazzetta, l'abito rosellino e la domenica mattina.
RandomOde satirica o forse solo realtà?