Capitolo IV

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 Giunsero in fretta. La strega aveva potuto sentirle, mentre sgusciavano nella notte e attraversavano la foresta in tutta fretta. Il cacciatore tuttavia pareva assorto nei suoi pensieri. Scrutava le tenebre di fronte a lui, senza degnarla di un'occhiata e una parola. Ma, ormai, le sue sorelle erano vicine. Così vicine che la strega ne poteva sentire il fiato preoccupato e ansimante. Ma anche il cacciatore poteva percepire quel debole refolo acido.

Anche in questo caso, si mosse in tempo. Con un movimento fulmineo estrasse l'ascia dal capanno in legno e dalla spalla della disgraziata, e con fendente secco divise in due la prima assalitrice, che aveva tentato di attaccarlo da destra. Arrivò anche la seconda da sinistra, ma il cacciatore fu troppo veloce, e poi la terza da davanti, e il cacciatore fu troppo forte, e infine la quarta nuovamente da destra, e il cacciatore fu impietoso. Le monete sull'ascia tintinnarono tutto il tempo. La quinta e ultima, invece, si era fermata. Ferma, dinnanzi a lui, non accennava a muoversi. Terrorizzata, scossa e inorridita, non si sarebbe mai avvicinata. Allora, il cacciatore, prese l'iniziativa. Piantò l'ascia a terra e si avvicinò lui.

"Siete brave a mani nude, con i vostri artigli e i vostri denti, vero?"

Ma la piccola strega non disse o fece nulla. Aspettò che il cacciatore la raggiungesse, e lo lasciò fare il suo dovere. Questi le assestò un pugno, gettandola a terra, e poi un altro, e un altro ancora, e ancora uno, e continuò a scaricarle colpi su colpi sul viso, avventandosi su di lei come un animale in calore, quasi sbavante e dando le spalle all'unica sopravvissuta, finché la testa non si ridusse a un unico amalgamato di ossa, cervella e materia oculare. Si alzò in piedi, con le cicatrici delle sue mani divenute i letti di fiumi di sangue. La strega sciagurata, intanto, aveva tentato di strisciare via. Le sue sorelle non erano riuscite a salvarla, e non avevano nemmeno avuto l'occasione di salvare loro stesse. Si chiese se, provando a fuggire, avesse potuto farcela. Non adesso, ma prima, quando quella belva affamata le si era presentata alla porta. Non poté rifletterci su a lungo, perché il rumore di ossa rotte era cessato, e dei passi iniziarono a risuonare nella quiete notturna, che dopo essere stata violata come la superficie di un lago al lancio di un sasso, piano piano stava guarendo. Il cacciatore recuperò l'ascia, si avvicinò alla strega e alzò la lama. Giusto, quasi dimenticava, la sedia. No, aveva deciso che non gli importava più. Calò il fendente e le aprì il cranio con un solo colpo, fino a solcare anche la terra e le foglie sottostanti, inzaccherandosi di altro sangue ancora. Perché era coperto, da capo a piedi, del siero vitale rosso, e in alcuni punti perfino gocciolava a terra, andando a infrangersi contro il tappetto purpureo sotto i suoi piedi, facendo crepitare quelle piccole piume secche. Alzò lo sguardo alla luna, pallida testimone di quel massacro e di un'altra infinità di omicidi giorni, settimane, mesi e secoli prima. Lasciò che i suoi raggi si riversassero nei suoi occhi chiari e accarezzassero i suoi capelli striati d'argento e di cremisi, consolando il suo volto glabro e rosso, le cui prime rughe cominciavano a confondersi con le cicatrici. Contemplò quel momento per qualche breve secondo, perché poi le nubi si gettarono su tutta la volta celeste, soffocando e sopprimendo la debole luce della luna e delle stelle. L'oscurità inondò il cacciatore col suo algido ma eccitante abbraccio, mentre qualcosa di fronte a lui pestava le foglie. Non erano passi di strega. Il cacciatore estrasse l'ascia e attese.

Il cacciatore nella forestaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora