The A Team Capitolo 1

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Una brezza gelida mi solletica il viso. Mi ci vuole sempre un po' per svegliarmi, spero sempre di essere finita a miglior vita e non essermene accorta. Dare fine a tutto questo. Invece è solo un'altra giornata. Ma ho deciso che sarà l'ultima.

Mi alzo con i muscoli intropiditi dal freddo provando a muovere qualche passo barcollando. Cammino trascinando il mio zainetto e la mia coperta, fino a un marciapiede, che sarà il posto dove passerò la mia giornata; mi accovaccio lì tiro fuori le riviste e il bicchiere e aspetto. Ecco il movimento che ho fatto oggi, dalla panchina fino al marciapiede, come tutti i giorni.

Per adesso le uniche persone che passano sono delle signore e dei signori di mezza età che fanno jogging, o almeno ci provano. Questa è in assoluto la parte della giornata che preferisco. Adoro vederli correre stremati, inciampare,c'è anche chi, con gli auricolari in testa, pensando che nessuno li possa sentire, canta a squarciagola. È una delle poche cose belle.

Poi, più il tempo va avanti, più persone ci sono. Quindi più persone che mi ignorano. Quello che tanti non capiscono è che la cosa che da più fastidio è l'essere ignorati. Io i soldi purtroppo me li guadagno in un altro modo. Quello che vorrei a volte è solo qualcuno che mi parli, che mi chieda: "Come stai?".

Semplicemente invece, come sempre, passano e non mi vedono. Se mi vedono invece il 90% delle volte mi guardano con disgusto. "È giovane" penseranno "Perché non si cerca un lavoro?". Il punto è che l'unico lavoro disponibile, e l'unico ben pagato, che una 21enne ignorante come me possa trovare, lo faccio già da tempo. Non c'è molta alternativa. Ho provato a cercare lavoro in un pub, ma i proprietari non si fidano, credono che possa rubare da un momento all'altro.

Così ora mi trovo qui, seduta su un marciapiede, a elemosinare, e di notte a fare quello che faccio. Passano centinaia di persone, di sguardi. Certe volte mi chiedo se siano realmente consapevoli di ciò che fanno. Sempre al telefono, sempre in movimento. Io di quel poco che faccio, purtroppo ne sono pienamente consapevole. Certe volte piacerebbe anche a me avere la libertà di non pensare, non sapere, fare, eseguire e basta. Invece no. Io sento una lacerante consapevolezza in tutto ciò che faccio.

Tutti si muovono, ma quello che vedo io è sempre gente in movimento, perciò per me tutto si muove e resta tutto fermo. Mi ci vuole un po' a realizzare che questa mattina c'è qualcosa di strano. C'è una sagoma che da un tempo che non saprei determinare non si muove. Anzi mi sta proprio guardando. È un ragazzo, con una felpa verde acceso e dei capelli color carota, della quale, così vestito, ha preso le sembianze. Mi scappa un sorriso. Ha una chitarra appesa alla schiena, e sta scrivendo qualcosa su quello che mi sembra un taccuino. Ogni tanto solleva lo sguardo a scrutarmi, quasi con aria concentrata. So perfettamente che dovrei andare a parlargli o per lo meno provare ad avvicinarmi, ma a discapito della mia professione, sono una ragazza timida. Quindi me ne sto qua.

Ci vuole tanto tempo prima che il ragazzo decida di andarsene. Mi sento di merda. Per una volta non ero ignorata. Altre centinaia di persone passano, ma a un certo punto stufa di vederle, mi avvolgo nella coperta, mi appoggio al muro e chiudo gli occhi. Non ho bisogno di mangiare tanto entro domani tutta questa agonia avrà una fine.

Mi sveglio con lo stesso entusiasmo di stamattina ed è già sera. Vorrei sapere che ore sono ma semplicemente non ho un orologio.

"Mi scusi mi può dire che ore sono perfavore?" chiedo a un signore che sta passando davanti a me.

"Che intenzioni hai?" dice guardandomi malissimo.

"Signore le ho solo chiesto che ore sono, me lo può dire?" dico ancora intontita dal sonno.

"Le 20:38" dice per poi praticamente scappare. Io la gente non la capisco. Voglio dire ti ho solo chiesto l'ora. Mica ti aggredisco. Mi alzo, raccogliendo le riviste e il bicchiere vuoto e mi metto alla ricerca di un bar. Dopo vari minuti di ricerche ne trovo uno squallidissimo, che si addice perfettamente alla mia personalità. Entro.

"Scusi, posso usare il bagno?" dico alla ragazza che c'è dietro al bancone.

"Fai pure" mi risponde alzando per un millisecondo gli occhi dallo schermo del suo cellulare, per incrociare il suo sguardo con il mio.

"Okay, grazie." dico andando verso la porta di quello che spero sia il bagno.

Per mia grandissima fortuna c'è uno specchio, quello che mi serve. Dopo essere andata in bagno, tiro fuori eyeliner, mascara, e rossetto dallo zaino, e, dopo essermi asciugata malamente le lacrime che imperterrite avevano deciso di rigarmi il viso anche oggi, mi trucco nel modo più decente possibile. Mi sistemo un po' i vestiti , cercando di nascondere con l'impermeabile i miei collant bucati e raccolgo i capelli in una coda; ora sono pronta per andare a fare il mio lavoro. Esco dal bar ringraziando la ragazza, che per tutta risposta, non mi ha nemmeno degnata di uno sguardo, e cammino molto lentamente verso l'autostrada.

Una volta arrivata aspetto qualcuno ripassando mentalmente il programma delle mie future ultime ore di vita.

Con i soldi che mi avrebbe dato l'uomo sconosciuto, con cui avrei passato la notte, e quelli risparmiati, avrei comprato una camera in una locanda e quanto basta di veleno, per farmi scomparire da questo posto, e così tutto sarbbe finito. Era da un po' che pianificavo il tutto ma non ho mai avuto abbastanza soldi e coraggio per farlo.

Ora che ce li ho è l'unica cosa che voglio. Una fine. Una semplice fine.

Aspetto per un tempo indeterminato fino a che non si ferma una macchina. Fantastico,ho fatto centro. Colui il quale si era fermato era il proprietario di una Porche; forse avrei potuto morire in una stanza di un hotel, chi lo sa?

Mi avvicino pronta a tutto quando vedo il ragazzo che abbassa il finestrino. So chi è.

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